L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure

giovedì, dicembre 15, 2011

Il blog è come il tatuaggio, un segno postmoderno del disagio attuale

Sembrava un'alba postorgasmica venuta dopo il pranzo di Natale.
Io seduto in quella poltrona troppo grande per il mio ego ma un pò
stretta per il mio sedere. Avevo alle spalle giorni di salsiccie e tortelli,
panettoni e vino. Giorni felici, li chiamano, quelli del Natale.
Quelli prima e quelli dopo, quasi fosse un'orgia di sentimenti tutti uguali.
In quei momenti pensi di potere tutto, che tutti ti sono attorno.
Non pensare di trovare qualcosa in queste righe, forse devi imparare a
leggerci attraverso, come la notte in cui fai un bagno in piscina.
Sembra senza senso e forse un senso ce l'ha.
Ma ti ripeto, non credere che uno voglia dire qualcosa con le parole scritte
una dopo l'altra su righe virtuali che righe non sono.
Il volto amico, il calore di un camino, le castagne, l'ennesimo morto sul
lavoro mentre nasce il Bambino, il pezzo di torrone.
Solito scrivere e solito arrotondare frasi, smussare un angolo, scartavetrare
un pensiero. Tutte cose già dette, non pensare che ci sia chissà quale
persona dietro tutto questo. Leggi un pezzo, hai letto tutto.
Arrivano piano piano i significati e spesso si capiscono solo quando tramontano
i soli e le albe tardano ad arrivare. In quel buio, in cui c'è meno luce, forse
si capisce meglio o forse non c'è niente da capire.
Lo scritto è vuoto come lo sguardo di chi scrive.
Non c'è niente di scritto, veramente niente, su cui ragionare, ridere, dormire,
sognare, sperare, piangere, amare. In giorni, mesi e forse anni di cose
catalogate e messe da parte, ai lati di uno schermo.
Nulla o forse quello che vuoi leggerci dentro.
Aeroporti da cui partono aerei vuoti che vanno chissà dove, tanto per viaggiare.

martedì, dicembre 06, 2011

Il circolo vizioso della difficoltà di non essere una rock star al tempo della crisi economica

Tristezza.
Forse ai più che in questo momento stanno leggendo, in maniera spesso distratta, sembrerà semplice condurre un'esistenza da recluso in casa. La difficoltà sta nel fuggire dal quotidiano.
Perchè tutto quello che ti sembrà solito nel tuo uscire di casa al mattino e andare a lavoro, nel vedere le solite facce boriose e prive di interesse privato dei colleghi e delle colleghe, nel prendere i mezzi e mangiare in mensa, tutto quello che abitualmente fai, non è paragonabile al silenzio di starsene in casa da soli ad ascoltare musica ad alto volume.
Non parlare con nessuno, non vedere nessuno. Almeno sino a un certo orario, quello che decidi tu.
I bar alla mattina e nel primo pomeriggio sono pieni di vecchiette che passano la giornata come te, più o meno. Persone che starebbero in casa tutto il giorno a vedere i programmi loro dedicati, al massimo del volume consentito dalla loro sordità.
Escono solo quando finiscono di lavare i piatti, le tazzine e il cucinino, quando la televendita del programma è terminata e riempiono i bar bevendo spuma, un bianchino o qualche caffè.
Anche mia nonna lo faceva.
La televisione meglio lasciarla sempre spenta.
I programmi di cucina fan venire solo voglia di mangiare e diventare grassi, ingurgitando fottutissimi dolci sorridendo allo spreco.
I telegiornali non fanno altro che ricordarmi che non andrò mai in pensione, che non avrò mai un futuro, che lo spread e i bond e le tasse e l'ici e l'irpef...
Il risultato è soltanto la voglia omicida di andare fuori, in strada, e uccidere tutti i vecchietti e le vecchiette che incroci. Senza sentimento e solo per la loro pensione.
Ovviamente non lo faccio perchè il divano vince sempre attaccandomi con la sua forza di gravità più forte rispetto alla mia voglia di uscire in maniera direttamente proporzionale. Più mi deprimo, più voglia di uscire accumulo e più mi incollo al divano.
Per fortuna mi restano i libri.
Li compro, ne faccio cataste, li leggo anche alle volte. Ma ne compro molti, più di quanti ne possa leggere. E' una forma di difesa personale, mi danno un segnale concreto per andare avanti.
Finchè avrò libri da leggere non potrò mai deprimermi troppo, perdendomi in quelle storie. Perdendomi in quelle storie non potrei mai farmi del male.
Anche se vedo il telegiornale, mi incazzo, voglio uscire a uccidere vecchietti, non esco, sto in casa, mi deprimo, leggo, non mi deprimo più, non mi faccio del male. Strano circolo vizioso.
Capite voi ora la difficoltà del non fare niente. Molto più stressante della quotidianità precedente.
Quella quotidianità che ti portava sui mezzi pubblici a girare la città, a vedere le stesse facce e dire le stesse frasi di circostanza. Molto più difficile.
Tristezza.

venerdì, dicembre 02, 2011

Cronaca di una cena annoiata

Un uovo, spinaci surgelati e un birra. La prima stasera.
La prima ha sempre un gusto diverso, ferroso e dissetante, come leccare
un ghiacciolo in inverno, quando il controsenso è meglio del gusto.
Dal tetto si vede tutta la città, almeno fino al muro del palazzo di fronte
mentre dalla mia finestra si vede soltanto il muro. Questione di spazi e
punti di vista. Tu dici visioni limitate, io mi limito a un sorso di birra.
Gli spinaci si stanno scongelando, l'acqua bagna il tavolo ma la mia
immagine allo specchio non cambia. Resto un bel ragazzo anche con un
primo piano, nonostante gli anni mi abbian segnato. Senza aver fatto un
cazzo, sia chiaro. Ma l'acne, le birre, il poco sonno e le rotture di coglioni
han detto la loro.
Sarei molto più bello in campo lungo, camminando verso l'obiettivo. Lo
sguardo perso ma concentrato, finto malinconico. So benissimo che non
c'entra niente, ma bisogna allungare il brodo.
La pentola si scalda butto gli spinaci. Quelli col formaggio dentro, surgelati.
Erano in offerta. In offerta come tutto ciò che ho in frigo, retaggio dell'ultima
spesa fatta oltre 20 giorni fa. Sono senza lavoro, devo risparmiare.
Peccato che poi compri cd e libri senza trattenermi.
Non ho turni adesso, senza tempi precisi tranne la cottura di questi spinaci e
il calcolo del tempo esatto in cui metterò l'uovo.
L'uovo amalgama, tiene insieme, fa volume e ci metterò un pò a digerirlo.
Un sorso di birra, sta finendo come spesso finiscono le belle cose, sopratutto
se chiuse in bottiglie da 33cl, in scopate da 5 minuti o in canzoni.
Mi perdo nel vedere una zanzara che si sposta tra il divano e la televisione
spenta. Sembra che mi culli ma poi mi vuole inculare, pungendomi a tradimento,
stordito dal suo continuo girare. Ma poi questa non è stagione per una zanzara.
Non lo so. Continuo a pensare che chi crede di sapere tutto serva soltanto a
tenere buoni gli ignoranti e gli analfabeti.
Prendo l'uovo, lo butto nella padella e mischio tutto. Fisso la padella finchè tutto
non è cotto. Il mio sguardo è sempre stato accattivante.
Scusa se (non) dico di stare male, ma non sono proprio in forma. Soltanto che qui
non c'è un allenatore che mi tiene fuori ad ogni costo, mi tocca giocare.
Dalla padella tutto passa magicamente in un piatto.
Adesso mi tocca salutare, devo mangiare fissando il vetro, non vorrei perdere l'idea
che mi è venuta.

lunedì, novembre 28, 2011

Urla il vento

Urla il vento e suona la bufera. Cosa accadrà alla città?
Scenderà la sera, si chiuderanno le porte e i portoni e forse ce ne staremo tutti in casa, persa la speranza si perde la voglia di condivisione.
Il vento cambia davvero ci era stato detto e ci avevamo creduto. Noi che in piazza ci andammo non per protestare, non per indignazione o sfogo, ma per sognare.
Il risveglio dal sonno poi, può essere peggiore di un incubo.
In quel Maggio, che poi era questo, proprio questo, l'ultimo, abbiamo messo l'ultima speranza nella politica, nella condivisione di un presunto cambiamento.
Non mi vergogno di dire di esser stato in Piazza Duca d'Aosta non per la musica ma perchè "cazzo bisogna esserci". Non mi vergogno di dire che ero in Duomo prima del primo turno, che c'ero poi e c'ero in tutte quelle manifestazioni di gioia che non contano un cazzo, ma che ti fanno capire che si può fare.
Il vento poteva cambiare, basta coi partiti e partitini e con la politica degli interessi personali, degli sperperi e dello spreco. Questi parlano di "noi", di "squadra" e di possibilità. Di una Milano non più Padana ma Europea, internazionale.
Città aperta ai giovani, agli stranieri...a tutti noi che illusi per le strade abbiamo brindato con birra e vino rosso, sventolato il tricolore e bandiere arancioni, abbracciato gli amici e pianto di gioia come solo la squadra del cuore ci aveva fatto fare. Noi che abbiamo fatto una testa tanta agli amici indecisi parlando di futuro e speranza.
Noi che dopo sei mesi capiamo che parole come Expo non si sposano con quel vento come ci avevano fatto credere,  che anche la sinistra ha il suo caso di corruzione proprio qui e che i due cui avevi riposto maggior fiducia, Boeri e Pisapia, litigano su chi ce l'ha più lungo, tra lo snobismo da radical chic e vecchi fantasmi.
In mezzo ancora "noi", che difficilmente torneremo a dare la nostra fiducia a qualcuno se tutto questo si tramutasse in un fallimento, in una revisione dei progetti e in una chiusura alla Milano aperta che abbiamo sognato e votato.
Parlo per me, da trentenne cittadino senza fronzoli e senza lavoro, di sicuro non l'esempio migliore, che però ama Milano e la vorrebbe vedere come meriterebbe di essere, sperando in una soluzione che veda finalmente il Comune agire come un squadra per tutte quelle migliaia di persone che come una squadra li hanno fatti eleggere.
Adesso ditemi cosa accadrà alla città.

lunedì, novembre 14, 2011

In requiem

Il settimo nano è morto.
Cause sociali e civili si sono messe in mezzo alle sue cause naturali. Non lo
meritava e riecheggiava la sua musica pop. Tutti presenti sulla pista finchè ci
sono i free drink e il bar è open, come le lucine a intermittenza di Natale.
Non servono i free drink con l'open bar, ma mi piace spendere sopratutto quando
non posso permettermelo. Povero fottuto nanetto da collezione, morto per il
fisico testardo al passare del tempo, altrochè lento.
Era pop quel pezzo che finiva con un tatatata ta tata ta.
La rivoluzione è morta.
Lo dice l'Ansa senza troppa convinzione. Ma le notizie non dovrebbero esser
certe prima di esser divulgate? Ma come si può non esserne sicuri.
Io non scherzo. Non serve esser sani per capire gli errori.
Il coyote dei cartoni non c'è più.
La troppa fame e l'allergia lo han portato via. Animalista incallito dell'ultima ora
non poteva sapere di quel brutto male, troppo impegnato al suo lavoro ufficiale.
Grande festa per le esequie coi risparmi di una vita e con i botti tra le mani. Pare
rincorresse il sogno di un struzzo stronzo senza sapere di esserne allergico.
L'illusione di avere un sogno che poi ti riduce a terra, come correre e correre e
correre e poi starsene fermi e ritrovarsi per ore su un divano. Come morire sul lavoro.
Speciale del tg, la rivoluzione non è morta.
Lo sono Che Guevara, Mike Bongiorno, Emilio Fede, Hello Spank ed altri miti.
La rivoluzione è in coma, presa a pugni per un campo coltivato a girasoli,
sprangata per il lancio di una droga rivoluzionaria sul mercato, che anzichè allucinare
fa vedere chiara e nitida la realtà.
Notizie incerte, fonti poco chiare. Inquinate e commercializzate.
La solitudine si è uccisa.
Presa dalla frenesia del momento ha deciso di dedicarsi del tempo, lo ha fatto una
volta sola per tutte. A moltiplicazione fatta viene un numero infinitesimale, tendente
all'infinito. E' il caso a volerlo, tendere all'infinito moltiplicandosi per la fine.
Non so perchè, era molto che non la si vedeva in giro, troppo presa a dedicarsi
agli altri, nascondendosi dalla vista. Non so perchè, ma immagino.
Altro scoop scandalistico dell'ultimo minuto. La rivoluzione se n'è andata ed
ha cambiato stato, regione, città, via, appartamento. Senza traccia, scrive lo pseudo 
giornalista nelle 4 righe sotto un grande foto di non si sa chi.
Non sa chi sia la rivoluzione, morta picchiata scappata.
La morte è morta di morte innaturale.
Al che non vuol dire nulla, ma voleva provar la sensazione di sè stessa. Guardandosi
allo specchio si guardò come si ama facendosi una sega.
In questa gran masturbazione non ha lasciato nessun messaggio, nemmeno un
post-it sul suo frigorifero, uno status modificato su facebook.
Via come un orgasmo finale neanche troppo lungo. La motivazione non è nota, non so
perchè, ma immagino. Forse nemmeno Lei aveva il fisico per la rivoluzione.

giovedì, novembre 10, 2011

La strategia fallita per diventare Dio durante l'ora di religione

Essere ricordati come l'idolo in un tempo in cui Dio non esisteva. Colgo bene la tua domanda e ti ringrazio per avemela fatta. Infatti non c'è neppure ora, latita come la mia risposta.
Adesso però la scelta editoriale è di non esporsi troppo. Alluvioni e crisi finanziaria incendiamo le pagine dei giornali. In tempi di crisi bisogna investire e investiremo seminando.
Semi al vento, semi al cartoccio. Seminati seminando semi. Se mi dovesse andare.
La scelta era essere Idoli di mandrie pagane e Dei di greggi cattolici. Niente di blasfemo soltanto ideologia. Perchè tutto si trasforma in idea se nasce da una lampadina accesa. Classe A, minor consumo.
Lo specchio parla chiaro, oltraggio. Non so chi sei, non so perchè sei ma so che vai usato. Dovevo diventare Dio e mi son perso in droghe e alcool per arrivare lassù e nemmeno son riuscito a salire di un gradino, anzi. Ora cucino, lavo i pavimenti e faccio lavatrici.
Bisogna nascondersi e investire.
L'ora di religione durava un'ora appena. Ogni settimana aveva la stessa durata. Per questo a volte ci si trovava di pomeriggio per riprendere quei momenti. Noi si parlava di sesso in quei minuti, alcuni scoprirono le droghe in quei quarti d'ora. Altri non la facevano perchè si dicevano atei e ora sono sposati in Chiesa da qualche anno.
La scelta era prendere il successo col minimo dello sforzo. Con qualche colpo ad effetto, i fuochi d'artificio, un sorriso e tanta faccia da culo. Poi vennero i doveri, la meritocrazia e il tempo delle mele. Tempo perso dietro falsi miti.
Non si poteva più parlare del Niente, ma si dovevan riempire discorsi con niente e lì finimmo anche di trovare il motivo per scrivere. Si voleva diventare Dio e diventammo i suoi primi fan.
Pagine bianche e canzoni senza note.
Adoratori di una rock star in declino, fermi immobile ad invocarlo e a nominarlo. Anche la bestemmia è un atto di stima dovuto e compiuto.
Dalla moda veloce siamo passati al lento, al giro di un disco e al rumore dell'acqua che bolle.
Le doccie son diventate motivo di sfogo e il bagnochiuma il companatico di vapore e calore.
Ci siamo affinati, siamo passati dalla parte del nemico, forse per rovinarlo dal dentro, forse perchè son più belli ed eleganti di noi. Al momento l'unico risultato è che siamo più carini coi capelli pettinati e la barba incolta. Ci ritroveremo un giorno con la voglia di diventare Dio.
L'ora di religione finiva sempre dopo un'ora, aveva sempre lo stesso tempo. Era l'ora più veloce della settimana e ci riempiva.
Però ricordati che alcuni pomeriggi ci trovavamo a parlare delle stesse cose e quei pomeriggi duravano un'ora per diventare Dio, vere rockstar in declino del tempo moderno.

giovedì, ottobre 27, 2011

La lista della spesa quando il Supermarket è troppo distante dal divano

Non so suonare una chitarra ma la voglio proprio comprare. Andare in giro tutto il giorno per Milano, con i capelli lunghi e la barba incolta, la faccia sognante e un pò smunta di chi non ha un cazzo da mangiare. Mi mancherebbe il cane, ma per quello attenderò di avere un figlio. Nel 2000 e 30 se potrò permettermelo. Il figlio. Eppure sarei stato un ottimo padre.
Andrò in giro con la mia chitarra a tracolla come i designer indossano la reflex e le puttane i tacchi a spillo. Marchio di fabbrica del mio far niente.
Per la occasioni migliori lascerò a casa la chitarra e prenderò la mia bici. Verde con venature gialle e se avete tempo da regalarmi vi posso mostrare le vene. La domanda è proprio questa e la risposta è una giacca a quadri. Quadri grandi, sfumatura rossa tendente al bordeaux, come il vino francese. Le occasioni migliori le devi andare a cercare armato di giacca, camicia e baffi ben pettinati.
Prenderò anche un computer per non farmi dire di essere vintage o retrò, ma soltanto perchè non mi piacciono le mode e le parole riconducibili agli -ismi. Inglesismi, francesismi, prismi. Non perchè ne abbia una reale necessità. In tempi come questo si deve attaccare la crisi, attaccando cornici al muro, svuotando vecchi archivi e andando avanti investendo tutto il possibile senza rimanere a zero. Lo userò per scrivere e leggere come fosse un foglio di carta ed ascoltare musica come fosse un compagno di un viaggio che non c'è, lasciando che si consumi completamente la batteria.
Scriverò tutto e leggerò tutto ed una volta letto cancellerò le lettere nere rendendo l'originale colore al monitor. Bianco che una nevicata, con qualcosa sotto ma non si sa bene cosa.
Con la mia chitarra entrerò in un negozio alla moda dove manichini senza gambe mostrano culi di marmo e sodi seni al vento, senza remore e rimostranze. Calze e mutande per far bella figura quando rimarrò senza pantaloni di fronte allo specchio, nel primo mattino che verrà. Anche questo è volersi bene.
Uscirò con un nuovo sacchetto in mano cantando Please Please Please Let Me Get What I Want, conscio che forse son le uniche parole degne di questo post.
E poi a sera, ormai stanco ed affamato mi renderò conto di aver fatto troppe cose per una normale giornata in cui non volevo nemmeno uscire e starmene a casa. Così starò seduto e forse addirittura immobile. Domani inizierò a comprare un chitarra.
Non so suonare una chitarra ma la voglio comprare. Andare in giro tutto il giorno per Milano, con i capelli lunghi e la barba incolta, la faccia sognante e un pò smunta di chi non ha un cazzo da mangiare...


lunedì, ottobre 24, 2011

Eddie Vedder

Mi ritengo un uomo fortunato.
Ho due gambe, due braccia e i soldi per fare la spesa un paio di volte al mese, senza
esagerare. Comprando sempre il minimo indispensabile per mangiare e riempiendo il
frigorifero di birra e vino. Spazio al superfluo.
Il prossimo passo sarà comprare della vodka liscia, da bere ad ampie sorsate, simili
alle falcate di Carl Lewis. Il figlio del vento.
Ci sono troppe chitarre che suonano perchè questo sia un concerto da fare in casa,
per tenersi tutto dentro. Le cose vere si sentono dentro oppure si manifestano in lunghi
cortei. Ci sono le lacrime, ci sono i sorrisi.
Gli estremi sono sempre presenti, non puoi fare a meno della punta dei tuoi capelli e
nemmeno della pianta dei tuoi piedi. A volte non riesci a pettinarti, ed è li che scoppiano
i problemi e muoiono le intenzioni. Per non parlare di quando le scarpe sono troppo
piccole. Puoi fare ciò che vuoi ma tutto parte da un estremo e arriva all'altro, da sempre.
Da quando Eva e Adamo e blablabla...
Mi ritengo un uomo fortunato.
E quando dico uomo intendo dire proprio questo. Ho una testa a volte pensante, delle
magliette da alternare quasi mai stirate, qualche pantalone e i soldi per il caffè. Ne bevo
troppi forse, spesso 3 a volte quattro al giorno. Capita anche cinque, già.
Prossimamente proverò un decaffeinato e lo berrò con calma, sorseggiandolo a piccoli
sorsi. Guarderò l'orologio, aspetterò, poi ancora uno sguardo all'orologio stavolta distratto.
Poi un sorso elegante. Questo farà di me un uomo migliore. Completo.
Aspetterò poi che tutto finirà, sarà una pratica dura da imparare ma come tutto, finirà, e
allora si capirà cosa ne è rimasto. Perchè la forma più grande della sofferenza o del volere
bene è il ricordo. Si fa fatica a ricordare, è una pratica che prevede concentrazione e tempo.
Fare in modo che chi se ne va non lasci tutto invariato, come una fottuta sgasata di un
vecchio motore o come una moda che ogni 3 mesi va celebrata sulle riviste e poi cambiata.
Sepolta da nuovi costumi.
Mi ritengo un uomo fortunato.
Ho 500 amici su facebook, di qualcuno ricordo il nome e almeno una volta gli ho parlato
di me. Caso raro, caso mai, caso voglia. Caso scrivo. Sono fortunato, ho anche i soldi per
il giornale del sabato e il tempo per leggerlo tutto. Chissà quanto costa il tempo, anzi
proprio quel tempo? Una domanda inutile almeno quanto aver bisogno di comprarlo,
perchè quando finisce poi si fa presto a ragionarci su e volerne altro. Sempre che se ne
abbia il modo, perchè a volte finisce e basta.
Fare in modo che le frasi a te dedicate non si sprechino nei secondi a consumare attimo
dopo attimo. Quanto lo possiamo far pagare un secondo...cento, mille, forse un milione
di euro. Forse niente.
Sono un ragazzo fortunato. Posso sprecare il mio tempo scrivendo in un blog sfigato,
mentre fuori tutto va a rotoli mantenendo saldi gli estremi che fanno sempre comodo.
Sono un ragazzo fortunato. Posso attaccare al muro i fondi del mio caffè e pensare che
niente si possa misurare in denaro.
Sono un ragazzo fortunato perchè ho perso la facoltà di intendere e di volere.

venerdì, ottobre 14, 2011

C'era una strada

Ricordo ancora la strada anche se oramai ho perso tutti i punti di riferimento,
cancellati dai troppi colpi in testa e da qualche botta di vita.
Era proprio così, uscito dal mio portone trenta passi a sinistra, poi a destra
per altri cinquanta passi. Passi di media lunghezza, fatti sempre da solo,
a volte con un amico. Di solito in quel tratto ero sempre a testa in su, pronto
a cogliere i cambiamenti di questo posto.
Una finestra aperta, un'altra chiusa male. Un palazzo che non c'era e adesso
è lì, pronto a ospitare nuove vite, nuove famiglia. Storie.
Mille palazzi e novecento cantieri. A volte uno sparisce a volte un altro sorge.
Dopo ancora a destra e finalmente l'ultima piazzetta. Forse non è proprio
la strada corretta, magari i passi eran più o meno gli stessi, ma ormai non
conta più.
In mezzo alla piazza, forse un pò laterale. Insomma non ricordo bene dove,
c'era la bottega delle...delle...
Non ho mai saputo bene cosa vendesse, non l'ho mai saputo con precisione.
L'insegna riportava soltanto un pensiero banale e stupido come solo le
cose vere sanno esserlo. C'era scritto "gli uomini sono tutti uguali" e niente
altro, non un prodotto, non un accenno ai prezzi. Solo un cartello, scritto
a mano, che recitava la possibilità di pagare ciò che si poteva.
Andavo sempre lì a prendere ciò di cui avevo bisogno, per trovare il
superfluo, le cose che davvero mi riempivano. Pezzi svariati di sogni chiusi
in pagine ingiallite, dolci dal retrogusto amaro, scatole che non contengono
niente. Proprio questo mi ha sempre affascinato, la possibilità di non
comprare niente. Pagandola il giusto.
Non ho mai creduto a quella scritta, neppure quando con mio nonno, passandoci
davanti, passavamo le ore a parlarne. Lui ne era convinto e anche io
per qualche tempo. Credevo a mio nonno, alla scritta.
Ora non ricordo la strada.

lunedì, ottobre 10, 2011

La retorica del link ai tempi della chat erotica

Scrittori famosi scrivono libri famosi, l'assioma regge anche se non esistono libri famosi.
Ma il lettore non attento non ci fa caso.
Scrittori famosi hanno scritto di me, parlato di me. Addirittura riso di me.
Con me mai, ma forse perchè non sanno chi sono io. "tu non sai chi sono io" è una delle
frasi più belle e al tempo stesso ironiche.
Scrittori famosi scrivono versi famosi e frasi famose, il tutto sta in piedi. Certo.
Ma come la valuti la fama di una frase? Ha foto su riviste o giornali? No. Cè un modo 
per sapere quanti l'hanno letta? No.
Non so, ma non mi fido molto delle frasi famose. Sono spesso fatte, citate, prive di 
spessore o profondità.
Una volta Palahniuk mi ha detto che "se scrivessi come un gay lo farei come lui da 
etero. Io da gay scrivo come un etero, che sei tu. Siamo uguali". Io non ci ho capito 
molto ma ho preso al volo il complimento. 
Era affascinato da questo post e mi continuava a mimare i vecchi sulle panchine del parco.
Uno scrittore famoso cita se stesso per aumentare la fama. Cita un suo libro, così
come un professore universitario fa studiare i suoi mille studenti sul testo da lui scritto. 
Copia originale, mi raccomando. A noi non piacciono imitazioni o fotocopie rubate.
Come quando ricevetti un biglietto di Natale, ma non era proprio Natale. 
Era scritto in spagnolo e riassumendolo diceva di quanto fossi stato importante 
per le sue storie e i suoi pensieri.
I punti di vista aperti e i puntini sospesi uniti a formare immagini, suoni e colori. Era 
firmato L. Sepulveda e riportava una frase presa da questo post.
Non capivo la frase, ma poi ho controllato e l'avevo davvero scritta io. Già, una citazione
dovuta alla neve che copre tutto.  Anche le citazioni.
Un pò come non dire a nessuno una cosa pensando che in questo modo non sia mai
successa. Io ho ucciso almeno una volta nella mia vita. Ho parlato male di te con lei e 
pensato che forse con lui avrei potuto farci qualcosa di "diverso". L'ho detto.
Come quando John Fante mi disse che quel post di cui non ricordava il titolo, gli
fece venire in mente il nome del suo "Chiedi alla polvere". Direte che era già morto.
La vostra parola contro il mio testo, scritto dal padre per il suo figliolo, scritto per non 
giudicare e a volte essere giudicati. Dall'abbaglio delle verità.
Ecco cosa è davvero famosa, la verità. Una cosa di cui tutti parlano almeno una volta 
nella propria vita. La verità.
Addirittura una volta De Andrè prese spunto da una mia cosa per un suo album 
intero o alcune sue canzoni. Non mi ricordo bene cosa mi disse quella sera a cena con 
Bindi, Lauzi e Tenco, ma questo post gli diede qualcheidea. 
Chissà perchè, e poi non capivo nulla in quel dialetto genovese.
Ci sono registi famosi che girano film famosi. Anche questo assioma resiste e regge, ma
cos'è un film famoso...lo spettatore non attento non ci fa caso. 
Però il lettore attento sì.

lunedì, ottobre 03, 2011

Blogger, una voce che sul dizionario non esiste. Giustamente.

Avere un blog non significa saper scrivere, nemmeno seper leggere. Mette di fronte alla
necessità di comunicare e di farlo tramite un mezzo fittizio, finto.
Molto spesso falso come quello che dici. Che vorresti dire.
Perchè poi i blogger non sanno scrivere veramente, altrimenti non avrebbero un blog, ma
scriverebbero su altri supporti. La carta, quel meraviglioso materiale vivo che rende tutto
più reale e a prova di click. Un blog lo cancelli con un tocco, ma se strappi un foglio di
carta fai un delitto, anche se ci sono scritte le stesse stronzate senza senso.
Anche un muro è meglio di un blog.
Un blog l'ho apero per gioco e ci scrivo le ricette di cucina e le serate con gli amici.
Commento il modo di fare di qualche vip, i vestiti e la moda. Seguo sempre altri blog in cui
il tema principale sono il taglio di capelli che va di moda tra le giovani rockstar new pop
rock post emo. Ho aperto un blog per riportare i testi delle canzoni che più mi piacciono,
come fossero le poesie di Neruda, ma senza mettere quei cuoricini che sulle Smemo
imperversavano negli anni '90.
Il blog è più maturo, niente cuori e frasi sdolcinate, troppo personalizzate nemmeno fossero
tatuaggi tribali a cerchio sul bicipite. Il blog indica in te un insano senso d'arte.
Hai il blog quindi sei.
Ormai ce l'hanno in tanti. Chiamalo tumblr, chiamalo twitter. Chiamalo come vuoi, ma
anche lui, come te, vuole solo essere chiamato. Vuole attestare il fatto di esserci, senza una
faccia o un nome vero. Per questo ci scrivo i regali che ricevo a Natale, il mio oroscopo e le
battute dei miei amici o sui miei amici.
Per questo pubblico foto e metto i video delle mie serate.
Il blog ormai ce l'hanno tutti, tutti quelli che contano. Gli opinion leader pensano tramite il
loro blog e nessuna intervista non è preceduta da qualche sparata fatta prima sul
"personalissimo blog". Il blog è per le proprie ricette di cucina, i propri pensierini e le foto
dell'estate. Così ti senti vivo e pieno di amici, ci sono i commenti.
Gioco di specchi tra il dire e il fare, copia e incolla di altre cose, senza nemmeno un
copyright o qualcosa che attesi l'originalità di un pensiero. Apri e chiudi, clicca "nuovo post",
schiaccia tasti a caso, "pubblica post". Pensieri senza tempo o luogo.
Sei un blogger, hai delle idee, le sai esprimere. Cristo come ti invidio.
E' necessario credere che bisogna scrivere per non cadere nell'oblio, per cui apriamo i
nostri blog alla verità. Di chi non è dato sapere, di cosa non si vuole sapere.
L'importante sarà conservare le parole e la voce, uniti a questo senso di inutilità che solo
un blog ti può dare.
Ora "pubblica post".

mercoledì, settembre 28, 2011

Il sorprendente post che mi darà il successo. Nei secoli dei secoli. Amen

L'armadio non ha abbastanza spazio per contenere tutti i vestiti che potrò
comprare vendendo questo post a qualche giornale.
Il miglior post che abbia mai scritto in assoluto. Finalmente qualcosa di bello
in questo sgraziato blog. Che poi ora tutti hanno un blog. Anche gli stronzi.
Un pò come la miglior foto che riesci a fare con una stronzissima Lomo che non
sai usare ma che fa figo appoggiata sulla giacca a quadri. Io la uso così, sempre
insieme ai Repsol che si piegano. Faccio pubblicità? Mi pagano.
Non so ancora come spenderò i soldi di questo fantastico post, scritto troppo
bene perchè pensato.
L'ho pensato mentre ero all'aperitivo ieri sera. 5 euro spesi bene. Ne farò a palate
di 5 euro. Voglio metterne insieme un pò.
Mi farò pagare con mazzette di 5 euro, come i migliori pusher. Cambio pronto.
Avete un consiglio sulla moda da seguire con i soldi che farò con questo post.
Sicuramente darà un valore alla depressione di questo blog. "Cazzo" finalmente
un post bello. Bellissimo.
Forse il primo caso di un post pagato oro e linkato da tutti.
Chi non lo condivide è uno sfigato che gira con la digitale quanto tutti hanno la
reflex. Mi pagherò un analista, un massaggio al centro cinese e un bloody mary.
Sempre a bere, vero. Ma va di moda e poi ora ho i soldi.
Potrò finalmente fare battute razziste e insultare le vecchie sui mezzi pubblici.
Sono eccentrico ed esuberante.
Soldi per bere, per la erre moscia, per il taxi, per le mance. Il tutto per la
bellezza di questo post. Ti consiglio anche di condividerlo su Facebook finchè
puoi, finchè è gratis.
Puoi anche dire che mi conosci. Alla fine se siamo amici sul social siamo amici
davvero. Ora lo finisco questo post, perchè è troppo bello.
Condividilo e convivilo, come un monolocale in zona Colonne, proprio sopra il
bancone dell'happy hour.
Il sorprendente post che mi darà il successo. Nei secoli dei secoli. Amen.

lunedì, settembre 26, 2011

La difficoltà di sintonizzare un apparecchio rotto a frequenze falsate dal caso.

Il suono lo senti dentro nonostante i giri veloci dati dal programma scelto per la lavatrice.
Ritmo cadenzato, una batteria che picchia forte senza tempo, un tempo dato da un'armonica.
Era una bocca quella su cui poggiava il desiderio oppure erano insulti indirizzati al cielo?
Sincronizzi il battito del cuore al ritmo storto di una vecchia cassa. Non sei nato per quello
ma vorresti vivere di quello. Non è un sogno amico, ma neppure un'opinione.
Ogni giro sempre meno controllo, ogni giro sale la consapevolezza che solo la birra può
sciacquare e portare lontano.
Non sei nato per questo, è vero, ma puoi sincronizzartici al meglio.

Il peso degli oggetti è dato dalla loro voglia di essere spostati. Si stabilisce un contatto fisico e solo quello addolcisce la mente. Legno, ferro, ossa e carne, una fusione che solo un vortice potrebbe unire. E disunire. Sincronizzi il battito del cuore al peso morto di un qualsiasi oggetto per dargli vita e da lì una forma e un colore. Non ami questo, ma potresti vivere di quello se la necessità ti obbligasse. Non è un incubo amico, ma neppure un errore.
Il rumore delle cose che sbattono tra di loro all'interno dell'oblò ti tiene sveglio e lava la coscienza che forse uscirà meno scura e meno incazzata.
Non puoi vivere per questo, è chiaro, ma puoi sincronizzartici per non morirne.

Le notizie belle nascondono sempre un doppio fondo. Di verità, di gioia e sopratutto di paure.
Come quando dopo un temporale viene sempre il sole e l'arcobaleno lo testimonia. Passare dalla gioia al pianto è più semplice di quanto si possa credere. Il lavaggio è quasi finito, il sapone sta scemando e resta solo il tempo di chiedersi se ci saranno ancora momenti così.
Non si vive solo di questo, amico, non si mangia con questo, non si dorme con questo. Lo so amico. Ma di queste emozioni son fatti i sogni e gli attimi che restano.
Non sei nato per questo e forse non morirai di questo, ma per il tempo è vissuto in pieno, per invecchiare sorridendo e non avere la consapevolezza di chi si è. Del dove si è.
Il lavaggio è finito e mi sento più sporco e meno utile. Fallito e triste eroe al centro di un
fumetto in bianco e nero finito sotto il divano o in mezzo a un altro libro.
Mi sintonizzo su un nuovo programma e provo a girare di nuovo.

venerdì, agosto 12, 2011

ieri come domani

ogni sera ritornava a casa alla stessa ora. stessi mezzi, stessi passi contati.
134 passi dal portone dell'ufficio alla fermata dell'autobus. 8 fermate, 24
minuti. 53 passi per arrivare dalla fermata vicina a casa al semaforo e altri
65 per giungere al portone. 4 rampe di scale, otto gradini l'una.
due giri di chiave.
mai una volta che le cose cambiassero, mai un caso che cambiasse il lento
scorrere degli eventi. gli sguardi alle vetrine, manco a dirlo sempre quelle.
la latteria con i vetri appannati in inverno e la pubblicità della granita in
estate. il calzolaio e le centinaia di paia di scarpe all'apparenza tutte spaiate.
l'edicola e quelle foto di donne nude troppo ammiccanti.
65 passi lunghi, nessuna sosta. il solito semaforo a salutare i primi colori del
mattino e quasi ogni giorno trovare il verde per il passaggio della strada.
non una coincidenza, ma il giusto calcolo tra il suono della sveglia e la frequenza
dei passi. dei 65 passi.
a ritroso non andava mai, perchè non c'era nulla da ricordare che valesse il
tempo di fermarsi. non guarda mai neppure avanti perchè nulla è così
importante da dover richiedere un'accelerazione, uno scatto o un desiderio
di essere altrove.
tutto ha il suo tempo, un attimo dura un attimo e ogni secondo è uguale a
quello prima e a quello dopo.
la sola differenza tra un secondo e l'altro la fanno i passi che sei riuscito a
mettere insieme. forse qualche imprevisto che però somma i secondi, non li
lascia mai soli al proprio destino.
addirittura i sogni prendono soltanto il tempo a loro dedicato, lasciando il
segno in sveglie inaspettate, eiaculazioni estemporanee e insignificanti piaceri.
una cena spesso uguale al pasto precedente per sancire un ordine di
compensazione. poca acqua e due dita di vino, per fare in modo che la
bottiglia aperta duri una settimana esatta senza il rischio che vada a male.
il sapore acido può rallentare alcuni movimenti con le smorfie che ispira.
il telegiornale vissuto passivamente e poi il comodo letto, rifatto di fresco,
da cui fissare fuori dalla finestra alla ricerca di un qualcosa che non c'è.
unico vezzo concesso e ammesso a quella giornata. a tutte le giornate.
poi uscirà di casa nuovamente la mattina dopo, alla stessa ora.
stessi mezzi, stessi passi contati.
toglierà il chiavistello, 4 rampe di scale, otto gradini. 65 passi tra il portone e
il semaforo, 53 per arrivare alla fermata dell'autobus, 24minuti, 8 fermate e
altri 134 passi per il portone dell'ufficio.
il contrario per tornare a casa. e così via.

lunedì, agosto 08, 2011

Pensando

Si gira spesso intorno a giri di parole, come entrare in una rotonda e non
uscirne per lunghi minuti. Velocità di marcia non forzatamente accelerata
per evitare l'effetto lavatrice.
Quello che a causa della perdita di punti di riferimento ti fa vomitare
fuori tutto. Parola per parola.
Giri di parole che girano su giri di note, scale musicali e ritmi.
Musica che apre a giri di danze e movimento.
Bianconi mette insieme immagini e suoni che diventano colori con un senso solo
se cantati con la sua voce.

Agnelli prende spunto da una lavatrice per buttare fuori, urlando, il pensiero.
Effetto centrifuga messo in musica.

Perdo tempo a pensare a ciò che devo dire e spesso non lo faccio.
"Immaturo" è il primo termine che mi viene in mente, ma effettivamente
anni fa pensavo molto di più prima di parlare. Parlavo anche molto di più.
Penso molto e parlo poco, cerco di limitare le parole e ascolto solo chi credo
abbia da dire. Anche se una possibilità la lascio sempre a tutti.
Un vecchio, un anziano o un bambino li ascolto di sicuro, per rispetto o per
la ricerca di qualcosa che mi stupisca. Un mio coetaneo fatico a seguirlo.
Mi perdo a pensare a cosa lo porti a dire cose che non penso, che
non condivido, che non accetto. Oppure che vorrei riuscire a dire io stesso.
Chissà che libro l'ha portato a dire certe cose e quale musica ispira i suoi
pensieri, i suoi segni e le sue smorfie.
Quali pagine mancano a colmare la sua mancanza di umiltà e quale canzone
porta tanta rabbia con sè. Ammetto ci penso spesso.
Perdo tempo a pensare a questo e non penso più a cosa dire. Vorrei mi venisse
detto cosa manca a me, cosa leggere e sentire e vedere.
Tanto e forse troppo.
Fante non portava mai all'eccesso la descrizione dei luoghi e dei colori, ma
proprio per questo ne senti gli odori e ne vedi i colori.
Ellis descrive con piacere anche i pensieri più macabri, dalle ansie alle paure
passando per la perversione.

Abbasso la soglia di attenzione sul reale e resto solo, con lo sguardo fisso.
Giri di parole che sanno di provincia, di labbra salate e una zappa, di strade
prese, scaffali vuoti e mezze frasi.
In fondo a parole si può dire molto ma col pensiero si potrebbe dire molto
di più.

martedì, luglio 26, 2011

Quando calcio fa rima con ...

Ho sempre creduto che il calcio, quello vero, si facesse nelle serie minori e
sopratutto in campi brutti e dissestati. Guardando con un aria di distacco
quei marziani che corrono a mille all'ora e guadagnano cifre pazzesche.
Distacco e molta invidia. Tanta, troppa.
Ormai, arrivato a trent'anni, posso dire di aver trascorso tantissimo tempo
in spogliatoi di calcio ad inseguire quelle emozioni e qui sapori che solo il
calcio ti sa dare. Con bagnoschiuma a metà e acqua bollente sulla schiena.
Chiacchiere, risate e anche silenzi lunghissimi.
Allacciando scarpe minuscole e ascoltando parlare di cartoni animati.
Tensione per una partita importante, sguardi preoccupati per la sfuriata
del mister ma sopratutto risate per le cose che aveva appena detto o
semplicemente stare bene per la puzza di erba della mia tuta, per quella
sensazione di far parte di un gruppo. Per essere lì.
Non ho mai saltato un allenamento perchè avessi di meglio da fare, non
c'è nulla "di meglio".
Il calcio che dico io, quello che ho sempre insegnato ai bambini quando
allenavo, è fatto da personaggi che non scorderai mai nemmeno dopo anni
e anni. E' fatto di trasferte improbabili in posti impronunciabili, province
di "sa il cazzo dove" e ritardi.
E' fatto di goal sbagliati e momenti unici.
Il tuo primo goal, quello fatto da un compagno, una vittoria, un campionato.
Quelle volte che in tribuna c'era tuo nonno.
Fatto sopratutto da persone. Gente che per niente allena un branco di
ragazzini brufolosi, pulisce spogliatoi e lava magliette e pettorine sudate.
Prova a insegnare dettami tattici che nemmeno lui ha ben chiari, ti fa
muovere in allenamento come negli anni '60, con esercizi vecchi inutili e
anche un pò sadici. Grida frasi sconnesse.
Massima soddisfazione per un the caldo senza gusto e una doccia bollente.
Ricordo di schiaffi presi per niente o per colpa di altri compagni, riunioni
tecnico/tattiche con il vice allenatore ubriaco che straparlava, trasferte in
provincia di Varese terminate al casello con la Svizzera.
Tutto questo fatto per inseguire un sogno, ma sopratutto tanti sacrifici fatti
per far divertire dei bambinetti prima e dei ragazzini poi.
Per me il calcio, quello vero, è fatto di questo.
Me l'ha confermato il vagabondare per i campi più o meno verdi degli
ultimi campionati della Lombardia.
Il ricordo di un dopo partita amaro, le botte prese dopo una storica vittoria,
le promozioni e le retrocessioni, tutto concorre a riportare il calcio in una
dimensione aulica, un pò storica.
Personalmente storica.
Sarà per questo che ho sempre preso ad esempio allenatori validi e poco
probabili e i loro vice, ancora meno sagaci ma molto umani e vicini a noi
ragazzi. Dei secondi padri, sempre pronti a dar bastonate ma anche qualche
carota.
Era questo ed è questo il mio calcio, fatto di piccole cose e da grandi Maestri.
Sarà per questo o per un senso di comune dispiacere che appena ho saputo
della scomparsa di Mastro ho ripensato ai miei 17 anni e quanto in fondo
mi avesse dato, senza saperlo.
Prometto qui e ora, che la prossima partita in cui andrò in trasferta mi
perderò per almeno due volte sbagliando strada pur conoscendola, in tuo onore.

martedì, luglio 12, 2011

tuttoduntratto

ci sono giorni e momenti sempre troppo uguali a se stessi.
addirittura così tanto uguali da non poter esser paragonati l'uno all'altro.
come tanti piccoli gemelli siamesi allineati ma diversi.
sono quei momenti o quei giorni in cui tutto sembra un vortice senza fine,
un vicolo cieco in cui si scorge soltanto la luce di un lampione lontano,
ma non il fondo.
è proprio in quei giorni che all'improvviso un'idea può cambiare tutto,
tutto d'un tratto.
è proprio in quei momenti che senza accorgersene un piccolo gesto può
rivoluzionare la storia, tutto d'un tratto.
senza saperlo, senza fiato. tuttoduntratto.

venerdì, luglio 01, 2011

una poesia di un vecchio maestro come dono

come iniziare una guerra di prima mattina senza aver nemmeno bevuto il
caffè. il primo, il più importante, il più sofferto. sofferto perchè atteso.
come la prima poppata, il primo goal, il primo bacio.
iniziare una guerra dal niente solo per vedere l'effetto che fa, per sfidare la
forza di gravità e gettare a terra oggetti che hanno un peso.
il peso degli oggetti è dato da una strana formula in cui si moltiplicano i suoi
grammi alla divisione della loro storia fratto il valore che gli dai. quello è il
loro peso e in base a quello devi imprimere la giusta forza per scagliarlo a
terra. per romperlo o per fargli solo male.
la tazza pulita ha ancora l'alone del caffè del giorno prima. anche i
pensieri di ieri hanno un insolito alone di vecchio. una luce stanca. sono ricordi
di ieri dirai. sono il dopoguerra di mio nonno, dei suoi racconti, il grembiule di
mia nonna nel tinello e le pattine che volano per la sala.
sono le foto di un bimbo in passeggino, di giovani come te sorridenti e felici, di
classi con bambini e la recita di natale.
non so come si arriva fino a qui, fino al secondo caffè "con un pò di latte, per
favore". non mi importa nemmeno come, ci sono diverse strada per arrivare
a un punto, ci sono differenti punti da raggiungere.
come la gente in attesa della coincidenza esatta del treno ci sono posti comuni
in cui potersi sentire soli con se stessi. ma nessun luogo è come i tatuaggi che
ho e le rughe che mi sono nate o i peli del mio viso. il lento scorrere delle
primavere, il caldo delle estati, la nebbia degli inverni e la luce dell'autunno,
che rimanda agli anni '80 e alle foto scolorite con grazia.
appoggio il caffè su un libro già letto, comprato usato da mani diverse dalle
mie, letto con impressioni sconosciute. forse sarà piaciuto.
lascio un alone sulla copertina, ma non importa. un piccolo segno che lo
differenzia da altre copertine. ripenso a cosa manca in questo momento, alle
interminabili partite ai giardini, alle corse sulla sabbia e alle storie dei miei
nonni che senza volerlo eran poesia di vecchi maestri. come un dolce per un
bimbo, come messaggi lanciati a un ragazzo o come un dono a chi aspetta
impaziente.

giovedì, giugno 23, 2011

Pace e tempo

Ci sono cose che prendono corpo nella mente e menti che non prendono mai
piede per le strade. Quali strade?
Ce ne sono molteplici per ogniuno e nessuno sa mai quale imboccherà.
Perchè nessuno è giudice del suo domani, ma umile vittima degli eventi.
Verbi coniugati al futuro, canzoni del passato. Un fuoco, nessun focolare.
La sensazione di costruire castelli di sabbia lavorando tutto il giorno, poi la
notte, giorno e notte.
Una birra, dieci birre. Collezionare i tappi delle bottiglie appendendoli al
vecchio frigo rotto. Poi stapparne un'altra per rompere gli indugi.
Leggere finchè non fanno male gli occhi e addormentarsi con la luce accesa
per paura del buio. Oppure spegnere la luce dopo poche pagine e chiudere
gli occhi per vedere se si è capito qualcosa.
Ogni sforzo vano senza sapere quale sia il risultato. Quale sarà.
Una volta ho perso un giorno intero per cercare il tappo che riempiva la
vasca del mare e l'unico risultato è stato che ho passato la notte a ripulire
la spiaggia, con una scopa in mano.

venerdì, maggio 06, 2011

Ho...

Parli di niente, un niente confuso messo sotto centimetri di falsità e inganni,
dirottato verso terre piatte da sorrisi e mezze verità.
Trovare i motivi per andare avanti con lo sguardo sempre dritto e un occhio
che guarda di lato, sperando che resti un ricordo di quello che si è appena
vissuto. Ma c'era un sogno dentro al cassetto, due giri di chitarra e uno
sputo dritto sullo specchio.
Giri di giri di giri di parole. Manifesti, voci e braccia alzate. Gente che passa
in bicicletta e in macchina, senza la minima idea di potersene fregare
qualcosa di chi c'è attorno. Sotto strati di trucco, sotto occhiali da sole e sotto
la solita smorfia di chi non ha bisogno di altro che il proprio orto.
Perchè tanto tutto resto com'era. Tutto è come ieri, anche se ieri è passato.
Passo fitto e occhi puntati sullo scaffale, il carrello della spesa sempre pieno,
mani impegnate sulla tastiera del cellulare, con l'impegno di un messaggio
sempre in rima (come prima senza stima).
Sarebbe bene comprare pacchi di pace, buste di comprensione. C'era un
posto dove la serenità non costave molto.
Non so dove, però. Lo sapevo, ma mi sono perso a fissare lo zerbino del
mio condominio. Sette piani, 28 appartamenti e mai una smorfia, mai
un cedimento, solo polvere e sorrisi di circostanza.
Non avremo mai un invasore, anche se forse potrebbe essere una soluzione
accettabile all'immobilità, allo star fermi pensando che tanto tutto è
impossibile, che niente cambia.
Ora scusami se rido, ma parlo di niente, di un niente confuso messo sotto
centimetri di falsità e inganni, dirottato verso terre piatte da sorrisi e
mezze verità.
Ma a volte le cose cambiano, basta volerlo.

giovedì, aprile 21, 2011

A volte

A volte, ma soltanto raramente, sentirai parlare di me. Lo prometto.
Anche le spiegazioni saranno sedute sulle panchine del parco comunale, con
il quotidiano in mano in attesa di qualche sentenza che le giustifichi.
Solo silenzio, senza espressione nei loro volti, sono pochi i colpi in canna che
ha l'arma della giustizia. Non voglio si sappia nulla di me, passerò senza
farmi vedere. Non un cenno, nè un saluto, incrocerò soltanto il mio sguardo
riflesso sui vetri delle finestre ancora chiuse.
Tempo di coprifuoco, tempo di arresto immediato.
Sono l'uomo perbene, censore del tempo passato. La mia dialettica si ferma
al giorno prima, alla prolissità dei vecchi maestri delle scuole elementari e
all'odore delle torrefazioni del centro.
Noia e tormento non son la vostra forza ma il solo prezzo da pagare alla
continua distruzione di ciò che è appena stato costruito.
A volte, soltanto per causa tua, avrai mie notizie. Lo metto nero su bianco.
Saranno le notizie della televisione a darmi un volto e una figura. Saltato in
aria con quintali di tritolo o steso a terra grazie a un colpo di pistola.
Griderò anche da morto se sarà necessario, senza apparire, infilandomi nelle
menti disperse nel giardino del re.
Dormirò di giorno e vivrò la notte se servirà a non esser protagonista.
Sono l'uomo perbene con il solo simbolo della normalità contro le vostre
grida. Esempio di rigore immorale contro il vostro fottuto perbenismo.
La vostra famiglia, la vostra casa, la vostra Chiesa, la nostra Mafia.
Mi ritroverai soltanto seguendo l'ultima stella o il consiglio semplice di
un uomo senza studi, che bestemmia Dio solo perchè non si fa mai vedere.
A volte, ma senza mai volerlo, leggerai di me. Lo giuro.
Sarà soltanto per non inaridire il tuo cervello e dare un nuovo modello al
tuo continuum di elementi.
Sono un'anima avanzata, sulla mia tomba non voglio fiori ma soltanto ricordi.
Abbraccerò i miei cari dicendo ciò che mai ho detto e vi lascerò così, nel più
totale anonimato.
Difficile pensare alla mia assenza, perchè mai sono stato presente.
Sono l'uomo perbene precursore di ogni tua buona azione.
A volte, ma soltanto raramente, sentirai parlare di me.
Soltanto se lo vorrai.

mercoledì, aprile 20, 2011

Il lento valzer dell'illogica lentezza dell'attimo perdente

Quattro passi al vento che visti da lontano sembrano solo smarrimento, ma
potrebbero anche essere un tentativo represso di ripensamento.
Come una polaroid sbiadita di tuo padre che passeggia nel '70.
Il pensiero costante su un pensiero passato. Tentativo inondato di niente
perchè nel niente si è sempre mosso.
Come i pochi secondi che separano la domanda da una risposta aspettata da
tanto tempo e attesa nel silenzio. Solo una chitarra di sottofondo.
Odore di merda lungo il viale, i sassi che ti fanno male ai piedi. Troppo grossi
per le suole appiattite dal peso costante del pensiero. Perchè la testa
non vola via anche se non serve a nulla, resta attaccata al collo ciondolante.
A cosa cazzo servono i pensieri se non possono trovare un buco da cui uscire
o un discorso nel quale esser spesi per dar loro vita migliore.
A niente. Servono solo a far da sottofondo a questi quattro passi, fatti avanti e
indietro in modo che non diventino mai otto, dodici, sedici etc...ma restino
sempre uno, due, tre e quattro e poi quattro, tre, due e uno.
Avanti e indietro. Senza passi avanti e nostalgia del passato.
Sempre la stessa strada per gli stessi quattro passi. Unica variante concessa,
si posson fare su una gamba sola. Quattro col destro ad avanzare e 4 col
sinistro per tornare. Sempre 4 però.
Quattro passi per fare tutto il possibile senza strapparsi i capelli. Piangere
pensando al tempo andato e ridere nel ripercorrerlo, soltanto un crocifisso
a metà appeso al muro rende meglio l'idea dell'inutilità.
Quattro passi solo, senza stronzi a dirti cosa devi fare e sciacalli ad attendere
la sosta. In questi quattro passi non ci sono pene, colpe e compassione,
niente musiche, sorrisi e abbracci. Al massimo un colpo di pistola a salve
per i ruffiani. Intorno tutta terra, odore di merda e fiori esplosi a primavera
come esplodono le bombe per portare pace.
Quattro passi e torno a casa, mamma. Non ti preoccupare. Forse è vero, è
tutto brutto fuori. Le parole hanno un peso e il peso glielo danno i colori,
anche se dal quinto passo in poi tutto diventa in bianco e nero e come nel
peggiore dei sogni, niente è come lo pensavi.
Allora è in quell'attimo che va dal quarto al quinto passo che come per magia
e forse per errore torno al terzo. Un lento valzer, quello della illogica lentezza
dell'attimo perdente.

lunedì, marzo 07, 2011

Milano città chiusa.

A Milano mancano due settimane e diversi contesti per arrivare a primavera.
I colori ormai da anni non sono più gli stessi, nascosti dietro finti richiami
a sicurezza e legalità.
Milano non è mai stata gialla come il sole o rossa come il tramonto sul mare.
Milano a volte è bianca, quando solo la neve riesce a farci dimenticare che
tutto, ma proprio tutto intorno a noi, è grigio.
Perchè se una volta la nebbia si prendeva gioco dei colori, se Milano era
nascosta dal fumo dei navigli, se il dialetto legava anzichè dividere...adesso
non è più così. I colori non ci sono più, si sono persi nel grigio.
Non è colpa solo della sintonia, dei nostri occhi, dei nostri pensieri.
La verità sta tutta da una parte, per una volta la verità è all'estremo.
Milano è una città sicura fratelli. Finalmente niente e nessuno potrà più
farci del male. Ora l'ultimo passo consigliato sarà quello di chiuderci in casa,
non uscirne più. Ogniuno nella propria, senza vasi comunicanti.
Non parlare nemmeno più col vicino, nemmeno se bianco cattolico ed
eterosessuale. Per stare tranquilli non si deve più ascoltare. Ballare. Amare.
Respirare. Pensare.
Proprio questo il messaggio che dobbiamo far passare in periodo di
campagna elettorale. A Milano non vogliamo divertirci.
Non solo non possiamo, non vogliamo.
Chiudiamo i bocchettoni alla cultura, troviamo pretesti per chiudere locali,
non diamo valore alle note, alle parole, ai colori.
Milano è grigia e tale deve restare.
Milano non ha bisogno di niente, ha già i suoi soldi e i suoi valori.
Milano è una città senza memoria.
Chiudiamoci in casa, chiudiamo le case.
A questo punto, solo quando tutto ci sarà tolto e ridotto all'osso ci
accorgeremo di cosa abbiamo e sopratutto di quello che non c'è più.
Senza finti artisti e senza proclami rivoluzionari, bisogna fare, cominciare
a dire, tornare a pensare. Ogniuno con la propria testa, senza un solo
pensiero unico e collettivo.
Ho sempre creduto che tutti se ne fottano di ciò che accade attorno sinchè
non viene intaccato il proprio orticello, fino a quando il cane del vicino non
ci piscia sulla staccionata. E' il personale a far del male.
A volte non bastano le restrizioni, a volte serve solo la sana prepotenza a
risvegliare l'indignazione.
Sai cosa c'è? Che secondo me Milano non è grigia e morta e che se voglio,
se vogliamo, fuori da queste cazzo di finestre, dalle nostre case chiuse
arriverà la primavera. Con lei torneranno la musica, i colori e poi ancora la
musica e i colori e allora forse potremo sentirci sicuri senza uomini in
divisa pronti a chiuderci in casa.
Sai cosa ti dico? Che forse è meglio smetterla di parlare, di fingerci pensatori
e iniziare a far qualcosa di utile non solo nel nostro orticello.

venerdì, marzo 04, 2011

Continuando a girare su stessi non si arriva mai allo stesso punto.

Gira e rigira non ce l'hanno tutti e i pochi che l'ottengono lottano e sudano
dietro a false illusioni. Conosco chi vuole star male solo per poterlo scrivere,
chi beve fino a star male solo per dare un senso alle sue serate. Chi per il
solo senso delle sue serate mette in gioco persino il proprio orto.
Chi odia, ama, odia e ama solo per poter dedicare poesie mai scritte che si
perdono dietro insulti a Dio e preghiere al barista di un bar periferico.
Perlomeno non troppo centrale, che non si veda troppo che si sta male.
La penombra in certe cose è importante. Fondamentale.
Il pensiero artistico è come le stagioni, dura il suo tempo e poi va via, per
ritornare al momento giusto, senza fretta. Lasciandosi alle spalle giorni su
giorni che sommati fanno mesi.
Mesi senza riuscire a scrivere la lista della spesa o un post-it di contorno,
senza riuscire a leggere poesie e pensare prose. Con tutto ciò che pensi che
brucia nel giro di pochi secondi, su un giro di note fatto di insicurezze
remote e parole che non vengono. Ma vanno.
Così, da un momento all'altro e senza avvisi.
A lungo andare tutti si credono artisti almeno una volta sola nella vita. Di
fronte alla poesia inutile alla propria inutile bella o nell' "ottimo" preso per
un disegno finto impressionista in terza media. Molto più raro che
qualcuno abbia ancora voglia di credersi operaio o contadino e sentirsi
chiamare proletario nell'era degli impiegati di concetto.
So di gente che passa ore a commentare l'operato altrui celandosi dietro
il volto trasandato dell'anonimato qualunquista. Altri ancora criticano o
fanno complimenti senza senso solo per non essere mai stati in grado
di esporre la propria pancia in pubblico. Quello che sta dentro la pancia.
Prendendo le distanze dalla dimensione delle ossa, ma continuando ad
amarne la materialità. Il virtuale è un virus che porta all'onanismo.
Il pensiero artistico è la vana considerazione dell'oggi, una collezione
di cazzate che qualcuno chiama contemporaneità.
E' il tentativo di seminare disastri per trarne grano per qualche mente,
come ha fatto capire De Andrè soltanto spargendo merda possiamo essere
sicuri che almeno il nostro giardino avrà qualche fiore. Ne basta anche solo
uno per la soddisfazione.
Il pensiero artistico non c'entra un cazzo con l'arte e l'utilità del caso.
Conosco gente che pur di scrivere due righe gira orgogliosa con la penna
sempre in tasca, cerca la frase giusta dietro il tram o all'angolo della strada,
nel solito bar o in un rigore calciato male. Altri ancora scalpitano sentendo
una canzone e lo sguardo ammirato a un bel culo è solo per la scia maliarda
della visione e non solo ammirazione. Poi c'è chi senza aver mai avuto un
solo pensiero artistico, si crede tale leggendo il pensiero di altri.

"Non so sciare, non so giocare a tennis, nuoto così così, ma ho il "senso della
frase" Andrea G. Pinketts

Il pensiero artistico fa il suo giro e a volte nemmeno torna indietro. Ma gira
e rigira, come le stagioni.

venerdì, febbraio 25, 2011

Bombe carta illudono il cielo.

Lancio in aria grappoli di illusioni e calici di vino, saranno solo brandelli di
carne rossa e sangue. Moriremo con amore.
Fermo l'orologio sull'orario che sarà, il punto giusto dell'ultimo secondo,
la certezza temporale della distruzione.
Destruttureremo insieme il Mondo se tu lo vorrai, facendo saltare la terra
in aria. E poi nel vento. E forse in acqua.
Piangeremo insieme i nostri morti. Piangeremo insieme i nuovi nati.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per la libertà.
Dispongo consigli fatti di fuoco e fiamme, democrazie di coriandoli e cotillon.
Immagina che la foto della tua faccia in questo istante sia quella della tua
tomba, qualche istante dopo. Somma gli istanti, fai un fermo immagine.
Poi immagina di fermarti, di non correre. Perdi anche l'ultimo autobus e vai
a piedi. Anche se la strada anzichè piana fosse in salita, sino a scalare con
ogni singolo passo un muro indifferente.
Per poi farlo saltare in aria con durezza e futilità.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per l'amore.
Le marce popolari e i popoli in marcia. Migranti. Opposti a qualche idolo che
credo nella fermezza. Costantemente attento nel delirio del desiderio.
Pornografia nel pensiero del clero. Ci lasceremo morire stremati dal sogno.
Sarà più bello lasciarsi andare piangendo, in fiumi di cristallo che cadranno
in mille pezzi. Piccoli e taglienti.
Sono il bombarolo, venuto al Mondo per far volare le coscienze.
Fissa bene il monitor, può esser l'ultima immagine.

giovedì, febbraio 10, 2011

Un post da divano. Stanco.

Dentro il divano col mondo fuori, il soffitto in testa e puzza di piedi a pochi
passi da te. Scarpe usate con cui ho perso i passi fatti sui passi di chi già
ci aveva camminato sopra. Alla fine si finisce sempre con il culo per terra
per la gioia, per la contentezza. Sentirsi sempre sconfitti è molto meglio che
vincere qualche partita senza senso.
Perchè alla fine ci si ricorderà solo dei primi e di chi non ha mai vinto.
Sporchi, sudati, belli e mal odoranti.
Un pensiero promozionale che definisce il confine tra il divano e il resto della
casa, filo diretto con il bagno. Bisogno primari, sogni lontani.
Starei seduto tutto il giorno con le chiappe al vento su quel trono in ceramica
e plastica, senza pensare, fissando un muro. Senza mangiare, dimagrendo.
In certi contesti non c'è niente di necessario e tutto è dovuto, persino la
possibilità di esser sconfitti resta arenata.
Invertendo la tendenza nell'ubriacarsi da soli, con il divano e qualche vecchio
pensiero preso in saldo e ormai in scadenza. Nella testa un grande mare, un
piccolo inverno, un temporale.
Il lampo viene e poi va via, che spaventa gli uccelli.
Venire senza godere nel rispetto del nostro odore, del sudore. Lacrime di
sconfitte scese da occhi persi nel vuoto. C'è sempre qualcosa di peggio
rispetto al proprio caso. E' la casistica del peggio.
Tempo perso a capire perchè ci sono incontri inaspettati e sorrisi stampati
in faccia a schiaffi, perchè si pensa che sorridere porti bene.
Serenità, chi vivrà vedrà e chi no forse farà un salto nel vuoto, pensato,
goduto, voluto. Onanismi di getto, un getto pensato.
Perchè perdere ha un senso nel dar valore alla vittoria.
C'è chi gode con le coppe, medaglie e soldi e chi invece prova gusto nel far
tutto senza senso, pagando a caro prezzo il proprio peso.
Il peso dell'insuccesso.
Come quello che ho detto qui. Niente. Un niente che però hai letto, forse
perdendo tempo, forse no.
Ma devi ammetterlo, se non ti è piaciuto ho vinto io.

venerdì, febbraio 04, 2011

Cartolina da un paese in rivolta

Cartolina dalla parte sbagliata della barricata spedita da una mano mozzata di un corpo che grida di fame e vendetta.
Arrampicato dietro alla barricata del nome improprio della libertà, Democrazia, spingo nel vento una foto di un gruppo di giovani con uno straccio verde al braccio. Non riconoscerai in loro nati nel bresciano, varesotti bigotti o pezzi di veneto andato a male. E' un verde diverso.
E' un esercito di speranza contro l'oppressione. La cartolina è sporca di sangue, ha un alone giallo dato da lacrime e saliva, ha l'odore del sudore.
Quello che molti chiamano puzza e noi chiamiamo "il profumo della fatica".
La cartolina dice "saluti da" un posto lontano, che non esiste o non immagini, a poche ore di volo dal divano di casa.
Un fiume incolore che grida dal basso per fame, per amore e mancanza di lavoro. Forse solo perchè è finita l'acqua per bagnare il proprio orticello. Quello che oggi non ti fa scendere in piazza a protestare, ma ti tiene impegnati i fine settimana e ti permette di girarti dall'altra parte quando l'indignazione è troppa e troppo forte è la paura di cambiare.
Cartoline senza mare, solo polvere e saliva. Dai paesi "arretrati" dove è nata la cultura bagnati dallo stesso mare della tua infanzia, coi bambini che gettano le pietre insieme a vecchi e donne in lacrime. A volte la sola cosa che riusciamo a fare è ridere. Credendo di essere nel giusto, protetti da Dio.
Ma anche al tempo di Dio ci si masturbava senza perdere la vista e il suo corpo divenne pane per la speranza di pochi. Ma senza religioni e senza dei pagani le cartoline viaggiano con foto, con video, con la rete e i suoi diversi colori.
Ora sono verdi, ora non ne hanno, mentre il grigio sta colorando i miei capelli e domani potrei non alzarmi dal mio letto.
Dove un proiettile solo a volte riduce i tempi per le conseguenze del quotidiano, fame e sporco, disoccupazione e ignoranza.
Prendo in mano una cartolina da un paese che conosco, l'immagine sta cambiando, ma non in bene. Si alza la polvere, crescono le grida, ma tutto è come congelato. Fermo immagine da un paese in crisi. L'unica cosa che non cambia sono gli orticelli che abbiamo in casa e non vogliamo cambiare. Promozione onanistica dello stare bene.
Cartoline da un paese in rivolta, cartoline dalla speranza.

lunedì, gennaio 24, 2011

La voce narrante

C'eran quelli cui non interessava sapere come andavano a finire le storie che venivan raccontate.
Poi c'eran quelli che rimanevano incollati alle labbra di chi raccontava per avere una base da cui far partire il sogno della notte che stava arrivando.
Tra loro si sedevano quelli che dormivano, quelli che pensavano che disegnando alberi e casette con il sole un domani sarebbero diventati degli artisti.
Un paio avevano il vizio di stare attenti senza capire nemmeno dove si andava a finire.
Erano quelli sempre attenti e vestiti bene, che si innamoravano dei vincenti e di quelli che andavan di moda.
In mezzo a tutti questi, chi rimaneva incollato alle labbra della voce narrante era visto come un perdente, perchè non aveva un colore o uno schema di gioco, ma era soggetto alla fantasia e oggetto del colore. Anche se nei loro sogni c'era la luce e non riuscivano a disegnarla.
Poi si passavano in rassegna tutte le facce, tutti i corpi, provando a giustificare le ansie e le paure, ma sopratutto esaltandone le gioie, provando a trovare il senso in ciò che era fuori dalle loro menti. Perchè il contatto tra il Mondo esterno e quello della nostra mente passa dalle orecchie, come la voce narrante di ogni storia che viene raccontata.
Il frutto naturale di banalissimi ricordi mischiati a volti noti e a corpi conosciuti senza moralismo.
Senza stagioni passate sdraiato su un letto di foglie appena cadute, in riva al mare. Al chiuso di una stanza con poche finestre e i disegni dei bambini appesi al vetro.
I soli disegnati su quei fogli di carta oscuravano i raggi di quello vero, con la finzione a far da scudo alla nostra immaginazione.
La voce narrante ci diceva cosa avremmo sognato quella notte, dove anche gli incubi più brutti diventano il ricordo della banalità e la mia mano non era sola ma guidata da una voce scura, in lontananza.

martedì, gennaio 11, 2011

Il lieto fine è un favola

Il re è malato, la regina è nuda e la principessa è troppo piccola per il regno.
Ultima notizia a breve giro di posta, stiamo attenti, anche perchè la notte è appena terminata e di prima mattina si è più deboli.
Più facilmente colpibili, fuori dalle lenzuola, con il sogno ancora impresso in mente e le mani intorpidite, i piedi doloranti e la schiena contorta.
"Erezione" dice il cervello confuso, come una spada eretta a protezione delle proprie quattro convinzioni. Mentre fuori c'è il sole e piove, tutto nelle stesso tempo.
Come il sangue che sgorga dalle tue ferite insieme a parole non dette e concetti inespressi. Pulisco col disinfettante, che lascia odore di pulito come quando esce il sole dopo la pioggia, senza nascondere ciò che era successo.
Ma mi ripeto.
Il re sta molto male, la regina si sta masturbando e la principessa non può crescere troppo in fretta. E' un suo diritto.
Anche se la giornata prosegue, l'attenzione si alza e si abbassa lasciando poche sorprese al caso, terrorizzando ogni minima espressione di gioia.
Ridere può far male al re, ridere non lascia speranze aperte ma offusca le menti.
"Colpiscimi bene, prendimi bene" grida la tua mente per essere fatta fuori per il torpore delle cose che si inseguono senza un senso, senza lasciare al tatto un qualcosa che possa essere ricordato. Come le pareti bianche e le pagine scritte senza senso.
Lasciando che il freddo possa entrarci dentro e colmare i vuoti. Strutturali. Di coscienza. Di colore.
Pensando che non ci siano giorni buoni, giornate giuste, momenti da ricordare.
Scambiando i propri umori con odori e organi preconfezionati, come le porzioni per il pranzo consumato insieme e finito allo stesso modo. Senza parole.
Il re è quasi morto, la regina urla e si masturba e la principessa ha le mani sporche di cioccolato. E' arrivato il principe che piange a dirotto e non sa che fare.
Arrivano da altre parti del mondo le cose che sono diverse. Per pelle. Per lingua. Per odore.
Arrivano da altri sogni tutti gli incubi che colpisci a bottigliate e vuoi scomporre in tante piccole note musicale, con cui musicare una marcia non necessariamente funebre.
Attento che poi cade il cielo che una volta era alto e azzurro, ma poi è arrivata la notte e si sono accese le luci. Però adesso qualcuno le ha spente di nuovo. Per sempre.
Comincia a fare freddo anche dentro, forse meglio chiudersi bene e non far passare gli spifferi.
Penseremo poi a cosa dire fuori, cosa utilizzare, senza prendere precauzioni e bucando tutti i preservativi. Parleremo di come siamo fatti dentro come se fossimo una città, ma soltanto dopo il coprifuoco.
Ora no, perchè è tutto vero.
Il re è morto, la regina gode e la principessa è andata via. Il principe sta piangendo sopra una sedia mentre con una corda gioca a fare dei nodi strani.
Il lieto fine è favola a metà.

sabato, gennaio 08, 2011

Morsi e pianti

Quando non sai cosa scrivere perchè stai pensando a come pasticciare altri fogli bianchi con altre parole che poi serviranno soltanto per il fuoco una volta stampate o per farti ridere dietro da chi non ha il coraggio per riderti in faccia.
Ma in fondo una volta un saggio disse una cosa che poi ripresero in molti e poi altri ancora ci hanno costruito sopra storie film canzoni e messaggini per le fidanzate.
Se ti guardi indietro non guarderai ciò che hai fatto ma penserai a ciò che non hai fatto e allora io provo a scrivere altro anche se credo che questa cosa abbia poca rilevanza e nemmeno con una balistica illusoria potrà far ragionare qualcuno però io quando sfogliando un giornale ho letto questo mi sono messo a pensare.
Vero è che sembra esser meglio il piangere per un qualcosa che si è tentato anzichè aver rimorsi di non aver fatto ma in fondo che problema è e sopratutto perchè pensarci ora che magari tra venti o trent'anni non ci si arriva e poi in fondo già oggi non mi ricordo delle cose che non ho fatto un paio di anni fa.
Per questo mi sono detto che un riempitivo scritto in due minuti come questo potesse almeno ridar vigore a una fase di stallo e che la punteggiatura mi potesse toglier tempo e non vorrei mai tra dieci anni aver rimorsi per quei secondi persi per una corretta punteggiatura e allora viva il punto che termina spesso i discorisi ma che quando viene ripetuto tre volte lascia aperti scenari allusioni e messaggi sottintesi che nutrono la fantasia e aprono la mente quando invece un punto chiude tutto.
Già però come è difficile farsi capire.