L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure

lunedì, dicembre 31, 2012

Il colpo di teatro


L'inizio peggiore è parlar di storie vere. Allora dirò che la storia l'ho inventata
da un racconto sentito per caso in un bar. Non uno di quelli belli, con le luci 
colorate che tanto piacciono a quelli perbene. Non un bar da happy hour, no.
Uno di quei bar di quartiere, con la polvere e la gente sdentata, i ricordi e le 
canzoni di Gaber e Jannacci in sottofondo. 
Per dare un peso alle mie parole e al mio star male scriverò indossando la mia 
giacca migliore, una camicia bianca appena stirata e cambierò anche le mutande.
Lo specchio mi renderà la migliore immagine che ho, quella che ho sempre 
cercato di donare agli sguardi dolci e pieni d'amore della mia mamma. 
Lo farò per la sollenità e il l'importanza che hanno gli ultimi.
Sotto il ponte aspetteremo la dolce vergine passare, nuda e sbigottita tra le 
fredde onde e le nostre risate consapevoli. Fermi a guardare le onde che 
compiono il loro dovere senza pensare alla storia e ai sentimenti della trasportata. 
Eliminare le nostre passioni e formare i nostri retaggi.
Sdraiati sotto il ponte abbracceremo cuscini e penseremo distratti al vecchio
pagliaccio. Non al clown imbellettato della televisione e poi a lui non piacevano 
le parole straniere. Non invecchierò per esibire i ricordi del mio passato come 
medaglie, diceva sempre, sono un pagliaccio e come tale dovrò scomparire. 
Un colpo di teatro, un appuntamento fissato cui non parteciperò e poi via, 
così come son venuto. In fondo me ne andrò senza trucco, la maschera che 
avete sempre conosciuto sarà impressa nelle mie parole, le mie risate e i 
miei ricordi. Non so dove le ho comprare, in quale mercato le ho scovate ma 
son certo che eran mie come il diritto di lasciare tutto nel momento in cui non 
lo sento più mio. 
Tornerete a casa soddisfatti per l'ultima risata che vi ho fatto fare, l'ultimo sospiro 
prima di tornare alla sensazione che già conoscete. Diversa dal mio vuoto, 
differente dalle mie ansie. Perchè sono un pagliaccio, non un clown. 
Uno che spende i pochi soldi per colmare i vuoti culturali del suo essere e 
sbuccia cipolle solo perchè almeno può piangere senza dare nell'occhio.
Quell'occhio che lo vuol vedere sempre sorridente, perchè è il pagliaccio.
Un colpo di teatro può toglier di mezzo il teatrante, ma il pagliaccio è un 
artista e allora il colpo è d'arte.
Sarò in quel posto a quell'ora e sarà meglio del solito, perchè saran ricordi.
Fu così che disse il pagliaccio senza trucco e sorriso, senza maschera e vestito.
Lasciò gli altri così, sulla riva del fiume sotto il ponte in cui li rese la condizione 
passata. Togliendo la camicia pulita, senza nulla addosso, un ultimo sorso al 
bicchierino di bianco e poi via. Ci rivedremo forse, prima o poi.

giovedì, dicembre 06, 2012

Post onanistico, antisnob e populistico

Farà piacere anche un mazzo di rose o una pacca sulle spalle al vincitore della gara o
alla fine dello spettacolo. Vanno osannati i primi ma anche all'ultimo non lo si lascia
andare via a mani vuote.
Una fetta di salame, un pezzo di pane. Non avendo mogli ubriache è anche più facile
avere sempre la botte piena per un bicchiere di vino. Anche se sei astemio.
Io non bevo mai per piacere o diletto, lo faccio solo per sete e per dormire la sera.
Però non voglio bere solo, ma soltanto in mezzo a una folla che mi applaude.
Perchè son primo o più facilmente perchè sono arrivato ultimo, ma mi sono impegnato
ed ero anche quello vestito meglio. Bravo bimbo, "sorridi a mamma".
Alla fine è tutta questione di merito, anche il demerito è qualcosa che ti devi guadagnare,
come il rispetto, i soldi per il divano, la gita in barca dentro casa quando la lavatrice
butta acqua da tutti i buchi. Quando fuori piove non avere l'ombrello non è
un atteggiamento ma è attitudine.
Non basta l'abito a fare il monaco e non serve un giubbotto di pelle per essere un rocker
e spaventare le vecchie per strada. Serve la testa, serve il cuore.
Serve sentire come sta un'altra persona anche soltanto guardando gli occhi tristi mentre
ride fino a piangere. Perchè piangere a volte è come prendere a schiaffi i propri fantasmi,
ma piangere non è facile, lo fanno solo gli uomini veri.
Io voglio fare qualcosa di utile, anche nel sognare o nell'arrivare ultimo. Magari anche
nel non arrivare, perchè mi son fermato a un bar a giocare a scopa coi vecchi o ai bordi del
Naviglio ad aspettare che passi il mio cadavere, contando le stelle e ricominciando quando
perdo il conto.
Io voglio essere venerato tra tutti gli scrittori di blog inutili e gli inutili, fottuti
schiacciatori di tasti da twetter, tra cacciatori di pensieri e taggatori anonimi di foto senza
senso. Voglio che mi venga riconosciuta la mia stazza, voglio che quando passo mi si saluti
come quando nei paesini passava il maestro della scuola elementare.
Voglio che si adori chi ha il coraggio di scrivere, di cantare, di pensare, di mandare un
messaggio di troppo e dire come stanno le cose.
Un giorno, tanto tempo fa, pensavo ce l'avrei fatta. Ora dico solo che vorrei essere adorato.
Voglio e non vorrei.
Non mi bastano mazzi di rose, conigli pelosi di peluche e cenni con le mani. Gente che scrive solo documenti destinati a non essere letti e ad ingiallirsi non può e non deve più scherzarci sopra. Non glielo permetterò più fosse anche l'ultima cosa che farò prima di fare colazione. Io voglio l'adorazione del non essere famoso, del non essere bello, dell'essere sempre e comunque qualcosa di fuori posto.
Ma di presente ragionato e valutato.
Non sono impazzito, non è lo sclero di un matto, a meno che per matto non si intenda
qualcuno che fa cose che altri non farebbero, non rischierebbero. Mi son sempre piaciute le cose
vere anche se sbagliate, un pianto vero a un finto sorriso. Un vero amico a profili inventati.
Non importa quello che tu dici di me o come consideri ciò che scrivo. Importa che io lo faccia e
che voglio essere adorato perchè lo faccio.

mercoledì, novembre 28, 2012

Nel dubbio è giusto che io sappia che la deriva depressiva del mondo postmoderno non mi piace

Non mi piace sentirmi di troppo del tipo "sai c'è anche un mio amico, sai che dici usciamo, sai che pensi ti va di aggiungerti", non capisco i romanzi d'amore e i fotoromanzi. Aspetto sempre che si spoglino e scopino e alla fine non succede. Si baciano in riva al mare, anche se è inverno e siamo a Milano o Cologno Monzese.
Non mi piace sentirmi un peso per casa mia, che non è abituata a me e alle mie bestemmie libera mente. Son due giorni che l'occhio sinistro a tratti non funziona. Mi taglio i baffi ma non funziona a farlo passare. Ieri Alessandro mi diceva che il fatto che non riusciamo a digerire è dato dal nervosismo interiore. Io gli ho risposto che vomito anche per una mela mangiata a metà pomeriggio e anche se sono a digiuno dal mattino. Mangio male e poco. Bevo male e poco. Alla fine la soluzione gliel'ho data. La gioia non va più di moda.
Ma lui dice "di quale essenza siamo schiavi?", ma non è l'essenza è che si è senza.
Cosa non lo so. Però non mi piace.
Cammino anche per andare in bagno, facendo due volte la strada che divide il divano dal cesso senza senso avanti e indietro. Sarebbe bello vivere in una casa non mia per consumare il pavimento altrui. E comunque il riscaldamento ancora non lo accendo.
Sai non mi piace pensare che negli Stati Uniti sono migliaia quelli sotto i trentacinque anni che vivono per strada. Non mi piace anche perchè Milano non è Roma e non ci sono tanti ponti, sopratutto in centro, non amo la periferia.
La periferia non mi piace, i margini mentali mi piacciono.
Nel dubbio non mi piace sentirmi inutile, è giusto tu lo sappia prima di sentirmi dire "che ora è?" solo per darmi qualcosa da fare. Non mi piacciono gli orologi e gli ombrelli.
Non mi piace la moda. Non conosco Gioia. La gioia non va più di moda, ma allora di quale dipendenza siamo schiavi? forse dipende da qualcosa.
Ieri ho preso molta acqua camminando per tornare a casa. Ma non riesco a prendere la febbre o il mal di gola. Nemmeno andando a letto con i capelli bagnati. Non riesco a potermi prendere cura di me.
Non mi piace camminare senza musica perchè non mi piace pensare in serate come ieri sera.
Non mi piace essere bello intelligente e sexy. Ma tanto non è un mio problema.
Ho mangiato una mela da poco per pranzo e non la digerisco. Mi prendo un altro caffè. Doppio. Forse è la soluzione prima di prendere la via per andare da qualche parte. Dove? Non mi piace andare tanto per andare. Non mi piace nemmeno fare le cose tanto per farle. Ma cazzo non mi piace nemmeno la parola pianificazione, mi dà l'idea di capitalismo.
Non mi piace chi vuole entrare in casa mia per benedirla e chi invece entra per entrare. Niente
come la noia può ammazzare una mente fervente, immagina la mia.
Non mi piace il democristiano anche se nuovo e lanciato, ma nemmeno chi dalla "generazione
dei padri" che ci ha rovinato pensa di cambiarmi la vita. Che poi già cambia da sè e non mi piace.
Vado al mare, vado al mare, vado in bici e per pensare.
Non mi piace che avrei bisogno di mio nonno per avere in casa qualcuno con cui parlare su tutto. Donne e calcio, macchine e politica e senza mai arrivare a una conclusione, perchè chiudere un discorso come si chiude una scatola di cartone per poi archiviarlo non serve a nessuno.
Serve a dare certezze a chi ne ha bisogno e me non piacciono troppe certezze. Mi danno sicurezze. Allora vado al mare.
Non mi piace che questo post perchè l'ho scritto per me e non per qualcuno, anzichè parlarmi.
Tu, qualcuno, ogni tanto pensa che magari potresti portarmi a pisciare. Potrei averne bisogno.

venerdì, novembre 23, 2012

Per Nessuno è quasinverno

quasinverno é quello spazio vuoto dove tutto é niente, ma è anche freddo e umido. Non si sta 
bene a quasinverno, a meno che non si voglia stare soli, senza parlare, facendo le nuvolette 
ogni volta che si respira un pò più forte. Ogni volta che si sospira. quasinverno è nausea per 
una musica triste, senso di inappartenenza a tutto. A quasinverno si è Nessuno e nessuno è 
mai a quasinverno. Si fa presto a cantare canzoni immaginarie e a sentirsi pieni di vita.
Ma il pensiero toglie energia, toglie sicurezza, porta acqua sporca e temporali.
La radio vecchia parla di elezioni e dice che tornerà un'altra estate. Paoli lo diceva con 
speranza, ma non ha mai avuto gioia. Quasi come amasse il mare d'inverno. quasinverno.
Invasioni immaginarie che invadono la mente, da un emisfero all'altro, dal reale all'involontario.
Razionalità contro istinto, finisce in pari e vince Nessuno. Affoga tutto nell'apatia e ruba i 
colori, per venderli sottobanco al mercato nero di quasinverno, quando arriveranno i surfisti 
a solcare il mare dei pensieri di Nessuno. 
Pagine bianche dove le onde alte arrivano fino al margine del foglio. Tsunami di inazioni. 
Ma il colpo di stato mentale è dietro l'angolo, il giorno di redenzione del quasinverno e l'arrivo 
della primavvera. L'elezione dello stato mentale, senza organi ministeriali, ormonali e anali. 
Vincerà qualcuno che avrà sconfitto Nessuno. Fare primarie tra "come ti senti" "come stai" 
"contro chi vuoi andare" per poi scegliere scheda bianca. Un microchip emozionale incastrato 
al dito medio della mano destra. Nascosto alle telecamere.
Quando é quasinverno i dubbi diventano certezze e i difetti altrui son le cose che più invidi.
Le persone stupide, l'ignoranza altrui, la calvizie, il fisico perfetto. Tutto sembra diverso a quasinverno. Anche il freddo non è freddo e chi non lo riconosce si chiude in casa, con tazze 
di cioccolata, camini e colpi di vita fumante o polverizzata.  Io Nessuno l'ho visto nelle mie 
foto e non volevo riconoscerlo. Infatti lo confendevo con altri volti. 
Ma nelle vite le stagioni cambiano e a vent'anni quando sorridevi c'era altro in quello sguardo.
Chiamala rabbia chiamalo sogno, magari solo furire, ma non ti avevano ancora tolto nulla 
e in quel viso non si vedeva ancora quello che saresti diventato, quel mostro a mille teste 
nella terra di quasinverno che tutti chiamano Nessuno. Che ora pensa di sognare e sogna 
di godere. Pagando in visi belli a cattivo gioco, in serrature inespresse e conti da saldare. 
Senza volerlo sei cambiato e senza far bene o male hai sbagliato. 
Si sbaglia sempre a quasinverno. Qui è già complicato capire cosa si vuole fare, figuriamoci 
quanto sia facile fare ciò che si dovrebbe fare. 
Forse fosse uno scrittore, un cantante o un imbianchino Nessuno saprebbe bene come definirsi, magari colorando quasinverno. E' così che i Giusti escono da quasinverno e passano 
a primavvera ed è sempre così che Nessuno vaga per il bianco freddo e umido torpore di quasinverno.

lunedì, novembre 19, 2012

Quando gli angeli cagano bombe e scorreggiano lacrimogeni

Non sono sicuro che se avessi un figlio, oggi, mi ringrazierebbe per averlo messo al Mondo. 
Subito non se ne accorgerebbe, ma poi verrebbe a chiedermi il conto.
Scelta personale o naturale bisogno di far progredire la specie?
Ma sopratutto mi chiedo, davanti allo specchio, se questa specie debba evolversi o se non sia
meglio lasciarla estinguere, contribuendo e uccidendo chi la blocca.
Penso che il Pianeta verrà salvato soltanto da chi inventerà le armi intelligenti, in grado di
selezionare chi rovina la specie. Senza razze, colori e religioni. Solo guardando la mente.
Il Pianeta non verrà salvato da un ambientalista e nemmeno da un santone di colore.
Il sole, la pioggia. Il giallo regala gioia e abbronza i corpi, permettendo un valido motivo per spogliarci dalle nostra paure. Ma secca la terra e brucia i fiori, mette sete e acuisce i dubbi. L'acqua nutre i frutti e le verdure, disseta e rinfresca quando il caldo ci riduce a terra, ma rattrista i nostri cuori perchè l'ombrello non piace a nessuno.
Per cui non servono diserbanti e ombrelloni, mantelle e occhiali da sole.
Sarà la morte delle menti inutili a portarci alla salvezza. La Morte.
Tutto sarebbe facile se non ci fosse il bisogno di iniziare. Tutto sta a iniziar le cose, anche a caso e anche senza senso, poi tutto viene e acquista la sua linea naturale. Anche se a un passo dal traguardo ti sei perso e non trovi più la strada, anche se arrivi ultimo e conta solo vincere.
Come una giostra e la ragazza che ci crebbe sopra, senza mai uscirne. Nella trappola del suo luogo preferito, giocava con la morte credendosi immortale. Ma anche prendendo sempre la coda di volpe che fa vincere il giro successivo, anche non scendendo mai, prima o poi la Morte si innamorarebbe anche di lei. Portandola via. Perdendo la gara con la Morte, senza averla mai giocata.
Vorrei perdere ogni giorno nella gara delle decisioni, per i miei ideali inesistenti, a testa alta. Diceva il ragazzino che non prendeva mai la coda di volpe. Ma forse le giostre non esistono e ci sono solo nelle favole. Ma le favole esistono solo se sai vederle la prima volta che te le raccontano, poi si trasformano in cose già sentite, che hanno immaginato menti non più vergini. Che hanno perso la poesia, come i vecchi che hanno visto tutto e non si meravigliano di niente, fermi sulle loro sedie al tavolino del bar, con le stesse carte in mano da vent'anni.
Gli stessi vecchi che oggi riempiono le banchine dei mezzi pubblici, usate come luogo di ritrovo per scambiare ricordi e pensieri. La "favola pensione" non gli permette neppure due bicchieri di vino al solito bar, con il solito tavolino.
Un certo disagio a volte porta a credere in Dio, chiunque esso sia. Il mio porta al vino. Prosit.

martedì, novembre 06, 2012

Il primo incubo della notte non si scorda mai

Mi chiamo S e ho trentuno anni di cui parte passati in compagnia e un'altra parte solo.
Per un pezzo di questi anni sono stato seduto, per un altro in coda in posta, al supermercato, allo stadio, in autostrada o al semaforo, dal medico. Una parte l'ho passata ad attendere un autobus e molto di più l'ho passato a camminare o a correre, che restare fermo mi fa paura.
Ho trascorso un pezzo dei trentuno anni a letto, a mangiare, a cagare e farmi una doccia. Molto tempo l'ho dedicato a me, altro ad ascoltare le cazzate degli altri e a far sentire le mie, a lavorare o a provare a farlo, a studiare e a leggere. Nel tempo libero ho scritto e contribuito all'arricchimento di birrerie e ristoranti. Si vede si dirà. E' vero si risponderà.
Mi chiamo S e ho trentuno anni, i primi 6 passati a giocare, altri 5 a imparare a scrivere e leggere e a mettere insieme le basi per costruire le altesse. Poi altri 10 a costruire le altezze per capire che alla fine la base basta e avanza e del resto non te ne fai nulla. Da lì in poi ho provato a nascondere tutte le basi con strati di inutilità sino ad esser giunto a una conclusione chiara. Ovvero che la nebbia è il tempo migliore per chi non ha nulla da far vedere, sentire e annusare.
Mi chiamo S e ho trentuno anni, ma non volevo parlare di questo. Io so nuotare, così così, non lo faccio mai perchè mi annoia. Ma so farlo.
Eppure ho sognato di esser morto così, nuotando verso il fondo. Non annegando ma nuotando verso il fondo in una atmosfera normale, in un qualcosa di quotidiano e quindi personalmente comprensibile.
Al mio fianco un pinguino diceva cose strane in una lingua non mia.
Ho sognato perchè poi mi sono svegliato, triste, asciutto e senza profondità.
Le mutande non erano bagnate, i capelli asciutti e un senso di nostalgico dissapore. Non era il salato dell'acqua di mare e neppure un odore salmastro di mare. Era il sapore del niente.
Non so descriverlo altrimenti sarei uno scrittore e non un non so cosa. Dopo un lungo percorso, una nuotata di non so quanti minuti, mi son bloccato di colpo. Nei sogni non si percepisce il tempo, secondi sono anni, anni sono un coma. Stavo dormendo purtroppo o per fortuna.
Mi son bloccato e sotto di me c'era una processione, dietro a una bara vuota.
Non ho indagato se fosse la mia. Mi sono bloccato e non ho controllato chi ci fosse. Non mi interessa sapere i presenti. Il blocco è durato fino al risveglio, una lenta agonia o un rapido shock. Non lo so.
Mi piacerebbe solo sapere che mare era quello, sempre che fosse un mare. Cosa ci faceva un pinguino nel mio sogno, sempre che fosse un sogno. Mi piacerebbe anche avere un gost writer cui spiegare quello che vorrei scrivere per farlo capire e anche i capelli lunghi. Più lunghi, e anche i capelli.
In fondo ho visto che il giorno del giudizio personale non è male, nuotando verso il basso senza annegare.
Mi chiamo S e ho trentuno anni. Quando ero più giovane pensavo fossero sprecati gli anni che avevo, immaginandomi così come sono. Che stronzo ero...ma ora mi evito le finte illusioni e mi riempio con le delusioni, senza pensare al resto. Tanto siamo in un periodo dove siamo tutti scrittori, poeti, cantanti, analisti  e c'è sempre tempo per nuotare verso il basso.

martedì, ottobre 23, 2012

Non chiedere a un degente di scalare una montagna

Stanco per quei pomeriggi al vento, senza una dimora per la nostra testa. Qualche giorno aspetto ancora mio nonno all'angolo di via Tolstoj, attendendo che mi chieda se voglio che mi porti lo zaino, dopo la scuola. Risentito rispondere che ce la posso fare da solo, che sono grande ormai. Ma in cuor mio felice di questa attenzione, che me lo chieda. Che sia lui a chiedermelo.
Perchè non mi mancano le attenzioni, quelle non le ho mai cercate e quando mi servono me le vado a prendere. Erano quelle attenzioni e quelle parole, quei discorsi.
Quel dire grazie senza aprire bocca, quel cercare il suo assenso nel mio non fare niente.
Stanco per quel troppo parlare, con la pancia all'aria e il divertimento tra le mani. Passare inosservati nel parco della propria zona, con la birra fredda in mano e pensieri caldi in testa, sentirsi vecchi a diciottanni, a diciannove, a venti. Passare il tempo a stringere i pugni e pensare lontano, faremo i cantanti, gli attori, gli operai. Ma resteremo amici e forse non lo siamo più. Non lo siamo più tutti i giorni, non lo siamo più nel fare i compiti insieme e nel parlare di ragazze. Non lo siamo nel sognare in futuro di cambiarci il presente. Ma quando ci si rivede, alla minima cazzata c'è lo sguardo, quello sguardo che ti svolta il momento. L'attimo. Torna quella panchina, tornano le mezzore passate in auto a discutere sul testo della canzone degli Afterhours e quelle spese in cui da mangiare non c'era un cazzo, ma l'alcol era sempre troppo, eppure non bastava mai.
Stanco di andare sempre a capo quando quello che vorrei scrivere dovrebbe stare sulla stessa riga, per non confondere chi legge e lasciar la mente verso lontane distrazioni. Correre su un campo, sporcarmi le scarpe, insegnare il poco che ho imparato. Non dirmi altro, spezzami le aspettative ma lascia l'idea che possa crescere tra l'erba marcia. Non ho mai pensato di avere una testa sana, nemmeno quando mi avevan detto che non sono scemo. Era mio padre o forse un suo amico, eran belle parole ma le presi come una buona notte. C'era gente che piangeva per molto meno, io in mezzo alla gente piango solo per i goal di Milito e i pugni al cielo, pensando a come è stata dura crescere a Milano per un interista.
Stanco per le coperte corte e i riscaldamente accesi, le vite accese da uno sguardo nuovo e la televisione che accompagna la giornata di qualcuno senza aggiungere niente se non la consapevolezza che è bel soprammobile. La produzione odierna regala il futile, la maggior parte dei lavori non produce nulla di concreto, ci avevate mai pensato? web, spettacolo, facebook, promozione. Niente ha più a che fare con la fabbrica, il turno, il materiale, il campo. A volte ho la sensazione di non fare un cazzo e altre volte è proprio così. Leggere Pennacchi mi ci ha fatto pensare. Leggere la mia carta di identità mi ha dato conferma.
Stanco del sole del mare del cielo delle panchine delle birre a metà e di quelle intere. Come quando per non sapere nè leggere nè scrivere decidevo da solo cosa sarebbe stato di tutti noi. Disegnavo i futuri e scrivevo i passati. Inventavo anche super eroi con i rasta e i capelli cromati. Dicevano fossi creativo e son passato a farmi fare i tatuaggi per non reggere troppa pressione. Ma alla fine c'è sempre un inizio e un inizio termina in una fine. Come un cerchio o un circuito. Una vita e non una spirale.
Farsi male e rotolare sull'erba e guarire per rotolarci ancora.
Adesso mi fermo un pò qui, son stanco per vincere o perdere una partita. Son stanco anche di stare in panchina e non lo so. Aspettare il tram mi da sempre un pò fastidio, magari arrivo all'angolo e aspetto mio nonno che venga a prendermi dopo la scuola, ma forse arriverà prima il tram.
Ci potrei scommettere.

martedì, ottobre 16, 2012

Avevo registrato tutto, ma ho cancellato anche il titolo

Ho registrato su un coso il mio ultimo post prima di mettere fine a tutto.
Ho registrato con voce suadente, da attore di teatro. Di quelli che fingono di saper recitare e invece fanno la parte dell'attore solo per scoparsi le scolare della Scuola di Teatro. Una volta ne ho incontrato uno di non so dove, forse, comunque pugliese. Volevo dirglielo che faceva l'attore attempato solo per scopare. Ma non l'ho fatto. Adesso però ho fame e ho registrato il mio ultimo e bellissimo post.
Parla del progresso e del regresso pregresso. Parla di quando mi sono offeso e di cosa mi offende.
Delle mie fobie e manie di grandezza. Cose mai dette, come tutti gli entusiasmi che ho ucciso sul nascere. Ho detto tutto a ruota libera, come se di fronte avessi la mia psicoanalista.
Cose se. Come quando fuori piove. Come.
Ho registrato, l'ho già detto e poi ho cancellato tutto. Tutto cancellato con un semplice tasto.
Magari lo posso raccontare a voce a tutti voi, prima o poi. A tutti quelli che mi diranno "sai ho letto che hai cancellato...". Anche se forse non sarà di vostro interesse.
Sapere perchè è il caso di smettere, perchè è il caso di continuare.
Qualcuno ancora oggi mi fa battute sul fatto che io scriva, senza ricordarsi qual'è l'ultima volta che si è visto dentro o ha avuto il coraggio di tirarsi fuori. Senza parrucche, senza maschere, senza tatuaggi.
Avevo registrato in rima, come solo i grandi poeti. Lo giuro mamma, come la poesia che non ho mai imparato a memoria a scuola, ma non è colpa mia se ho sempre pensato non servisse a un cazzo, imparare a memoria.
Poi mi fermavo sempre ai giardini, per cancellare le lezioni e imparare a stare all'aria aperta. Perchè il giardino era l'orizzonte dalla finestra della scuola e perchè l'alternativa di altri compagni era andare a vedere la televisione. Melgio vederli vicini e reali gli orizzonti, per poi sognare quello che c'è dietro. Senza vincoli di schermo o di sacralità. Che poi Dio non c'entra un cazzo. Lui è solo immagine.
Come Paris Hilton per la fellatio o come la neve in estate.
Ho registrato il post della mia vita, quello che sanciva la morte del blog. Ma un masso ha rotto il coso che registrava, forse il cane ha mangiato i tasti del coso, la birra mi è caduta sopra il coso.
Insomma ho cancellato il nastro del coso e adesso gioco col mio coso.
In attesa che qualcosa mi faccia venire sonno.

martedì, ottobre 09, 2012

Tratti distintivi

Credevo di capire le cose prestando sempre attenzione, quando la maestra con gli occhiali e un'età superiore a quella di mia madre ma più giovane di mia nonna, spiegava cose che poi nella vita saranno state importanti all'incirca come un commento futile al mio vestiario o il giorno del tuo compleanno.
Credevo di poter arrivare a soddisfare il Mondo soltanto portando a casa quaderni in ordine e cartelle pesantissime, fusti di sapienza ordinata e ben impaginata. Ad esser sinceri a pensare di fare il bene degli altri si tralascia troppo il proprio, di bene.
Ho cominciato poi a guardare che i disegni che facevo a matita eran più belli di quelli fatti con i pennarelli, perchè riuscivo a sfumarli e a trovarci delle ombre e delle luci, dei significati che non sapevo. Quindi dietro quell'uso forte del colore c'era una forma di attenzione troppo evidente, quasi costante. Un nascondiglio per quello che credevo o per quello che credevo di aver capito.
Poi un giorno in classe mi distrassi e cominciai a guardare fuori dalla finestra.
Il vento che spazzolava le foglie degli alberi come fossero capelli, gli uccelli che non tenevano la stessa traiettoria, le nuvole che si muovevano. Non come nei miei disegni in cui staticamente sembravano temere il sole, ma qui, fuori da quella finestra di quella inutile classe all'interno di una scuola prefabbricata degli anni '70, si opponevano al sole e a volte lo rincorrevano. Altre volte invece si sovrapponevano l'una all'altra. Quel giorno distraendomi ho capito che guardando fuori dalla finestra avrei visto mondi anche dove non ce n'erano. Dietro un foglio bianco, un penna vuota, una siringa usata.
Tornando a casa dissi a mio nonno che non avevo seguito nulla delle lezioni di quel giorno perchè avevo guardato fuori dalla finestra, che tutto là fuori mi ignorava ma io potevo guardarlo lo stesso e farmi i miei calcoli, le mie regole grammaticali o le mie guerre personali.
La perplessità dei suoi occhi mi mise subito in guardia dal non distrarmi troppo, dal restare nel reale, dal sembrare normale. Ma io avevo capito ormai la mia strada, quella che non porta a niente o forse porta a qualcosa ma dall'entrata secondaria o dall'uscita di sicurezza.
Camminavo tanto per guardare il movimento delle cose o prendevo i mezzi per vedere come si comportano le persone chiuse dentro scatole di ferraglia. Le guardavo per capire me, di loro non mi è mai interessato molto. Il mio era uno sguardo distratto, di quelli che guardano tutto e non vedono niente o vedono solo quello che vogliono.
Perchè la verità ti porta a vedere entro le quattro mura, fino a qualche metro più in là. E' la distrazione che ti regala la profondità, quello che non c'è, arriva a bussare al sogno e poi lo diventa, se qualche stronzo non viene a richiamare la tua attenzione.
Quella sì, superficiale e temporanea, perchè sarà anche un controsenso ma ci vuole attenzione anche nell'essere distratti.
Così si continua in quel percorso tracciato a matita, ascoltando le lezioni con un orecchio e immaginando mondi fuori dalla finestra, distrattamente attento a non pestare troppe merde abbandonate ai margini della strada.

martedì, ottobre 02, 2012

Mia madre dice che dovrei sistemarmi comprando un armadio

Padre Nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno sia fatta la tua volontà così in Cielo come in Terra. Dacci oggi...
Premetto che a nulla credo perchè tutto mi interessa, in tempi di crisi l'unica cosa sulla quale si può essere sicuri di non lesinare sono le nostre sensazioni. Il bel tempo poi viene da sè e spesso porta alcune conclusioni bagnate.
Annacquate come l'acqua fetida di un fiume, come lo spritz che ti inserisce nel gruppo, come la minestra che da anni ti riproponi, riscaldata o fredda oramai non fa nemmeno più differenza.
Differenza parola nota, cara, poco utilizzata. Cosa fa la differenza oggi se non quello che non si ha.
"Mi manca il centravanti, mi mancano i soldi, mi mancano i coglioni", la differenza la fa la mancanza. Il classico sguardo disincantato verso il dito che indica la luna.
Sole e luna, giorno e notte, alfa e omega. Acceso e spento, forse questa è una differenza che non dipende dalla soggettività. Inizio a pensare che le sfumature vadano bene per i titoli dei libri e poco per le situazioni della vita. Nelle sfumature ci sono le interpretazioni che ci stanno togliendo la grinta  e rincoglionendo con le spiegazioni. Non ci sono grosse differenze. Non c'è il Rosso e nemmeno il Nero, ci sono i moderati, ci sono gli ideali annacquati, ci sono i Negroni Sbagliati.
..il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal Male. Amen.
Parole sbagliate e concetti chiari, perlomeno tra le nuvole che albergano nella mia mente. Non sono mai state le parole, le singole e sole parole, a fare la differenza. Nemmeno il cane che abbaia si può dire cattivo finchè non morde e dopo tutto can che abbaia non morde.
I preti non son preti solo perchè sanno a memoria 5 o sei preghiere e i veterinari non sono tali solo perchè sanno dove sta il sesso del pesce rosso. Altrimenti forse tutti saremmo tutto, senza differenze ma soltanto sfumature.
Le uniche sfumature che accetto sono l'alba e il tramonto, perchè di fatto segnano un passaggio sano tra il giorno e la notte, il sole e la luna. Sfumando concretamente, non a parole.
Liberaci dal Male o Signore.
Capendo quale sia questo male e cosa è bene, trovarci tutti a far gli equilibristi, cadendo ripetutamente da una parte all'altra senza mezzi termini o mezzi colori. Senza aver paura di avere un'opinione anche stronza, brutta e contraria.
Ci sono spazi riservati tra tutti noi, che ogniuno riempie di ovatta. L'imbarazzo degli uni e la corazza degli altri, l'infinita rincorsa tra chi crede, fa e sbaglia e chi guarda, parla e commenta.
Esperimenti calligrafici per esprimere (vomitare) concetti quando si vuole pregare ma non si sa dove farlo.


martedì, luglio 31, 2012

Ho messo MI PIACE a un'offerta di una ditta di Onoranze Funebri

Mettevo i vasi dei fiori più grandi uno accanto all'altro, come a formare un grosso campo di battaglia, una foresta equatoriale sorta nel caldo afoso dell'estate marchigiana. Un'oasi sul terrazzo.
Lì combattevano i soldatini di plastica e alcuni a causa delle bombe cadevano anche giù dal terrazzo. Erano i più sfortunati perchè per tornare a vivere e a combattere dovevano aspettare che trovassi la voglia di scendere in cortile e tirarli su. Avevo una strana concezione della morte, mi piaceva perchè non era definitiva, caratteristica che ora troverei scomoda.
Sorridevo poco da bambino, la faccia scema in alcune foto con i nonni, qualche posa stupida alla comunione o alla cresima, ma ero troppo grasso per dirmi felice. Poi non ho più foto, come se tra i 7 o 8 anni e l'invenzione delle "usa e getta" la mia vita non fosse testimoniabile.
Non come ora che fotografo quasi tutte le azioni, dalla prima cagata del mattino all'ultima sega prima di andare a letto, per liberare la testa dai pensieri. Anche oggi non rido, ma faccio facce stupide.
Che colpa abbiamo noi, che non ci piace ridere se non nelle foto sceme. Quelle inutili fatte per far vedere che eravamo presenti o assenti al tempo stesso.
Difficile da capire, se non che gli altri ti vogliono vedere o credere sempre al cento per cento, perchè avere intorno gente così fa apparire migliore anche la propria vita. Più è figo chi mi sta vicino più lo sono io e sarà per questo che mi sento sempre poco figo.
Sogno delle Olimpiadi in cui si festeggi l'ultimo oppure quello che si fa il culo ma non ce la fa, serate dove si beve birra e si piange o si fa a gara a chi si veste peggio ed ha i capelli più sporchi.
C'è una canzone che mi fa piangere ogni volta che la sento. Piango anche se scrivo e la sento. Anche se mangio e la sento, oppure se mi masturbo e la sento. E' "father and son" e mi fa pinagere. Mi fa piangere perchè è un padre che parla a un figlio, un nonno a un padre, una spirale di spermatozoi. Immagino mio nonno che mi parla o mio padre che mi parla e il mio pensiero si ferma lì, perchè non riesco a vedere me parlare a qualcuno. Non sono in grado di rovinare altre situazioni.
Ci sono ore della notte in cui non si dorme e la colpa è dei pensieri troppo pesanti che arrivano allo stomaco. Non riesci a vomitare. Sarebbe bello se il divano diventasse una navicella e ti portasse lontano, oltre le luci del palazzo di fronte sino a un punto dove nessuno ti conosce e lì cominciasse a cadere. Nel nulla e poi il nulla. Sarebbe bello ma il divano non passa neppure dalla finestra.
Dovrei dormire forse, oppure vomitare o farmi una sega o tutte e due insieme e poi addormentarmi. Svegliarmi, farmi una doccia e pensare che tanto i malumori sono passeggeri.
Come quelli di un volo di linea che a un tratto va giù a picco e tu con loro.
Adesso stampo questo post e lo metto in una busta, la chiudo bene e sopra ci scrivo "per i miei", nome generico con cui si indicano in modo scazzato e distratto i propri genitori. La leggeranno  appena rientrati dalla solita lunga estate senza capire che l'ho scritta io, credo non immaginino nemmeno sia in grado di farlo. Storceranno il naso e la bocca e io continuerò a pagare per ore di analisi che poi si infrangono inutilmente in pochi giri di parole pronunciate a caso per fare male. Se li rivedrò chiederò loro se hanno ricevuto cartoline dall'estate trascorsa da qualche loro amico dai gusti vintage. Mi diranno di no, che hanno ricevuto soltanto una lettera di uno che deve aver sbagliato casella di posta perchè diceva che non gli piace il Natale, che sognava di fare alla guerra e crede non ci sia nulla di male se un giorno, desiderandolo tanto, non ti risvegli più e muori col sorriso.

martedì, luglio 17, 2012

I punti, le rette, i mille modi di vivere una vita intera senza arrivare alla fine e restando ancorati all'inizio

Pensavo davvero che fosse una bellissima idea, di quelle originali come l'olio per friggere o i tappi per le orecchie.
Unire due punti distanti centimetri o chilometri da un'unica retta. Una retta retta che unisce due cose, a una distanza x data una scala con cui decidi tu stesso di regolare la tua storia o il tuo mappamondo o semplicemente il disegno stupido che stai facendo per lottare contro la noia e le sue sporche leggi.
Leggi da orario di lavoro, leggi da socializzazione indotta e obbligata, leggi da storie condotte su linee parallele. Che non sono sempre rette.
La stessa linea retta che è colpa dell'ansia da prestazione, della paura di non saper che dire perchè la sensazione è che la storia possa essere una. La linea retta che di fronte a un foglio bianco ti fa pensare a cosa scrivere senza lasciare libere le parole. Libere di andare da un punto all'altro percorrendo strade tortuose e parallele o lineari e intersecate o di tornare indietro senza arrivare mai, avendoci provato o essendosi fermati a metà strada, impauriti, in lacrime, soli.
Pensavo veramente di aver avuto un'idea brillante ma mi sono reso conto di non aver mai camminato in maniera lineare, senza angoli o svolte, senza ragionamenti tortuosi e dialoghi mai conclusi.
Anche per la linearità su un foglio di carta non ti fa capire se per arrivare da un punto all'altro non si sia volato o scavato sotto terra, saltato o fatto tutto coi piedi per terra.
Che poi stare coi piedi per terra è la base per fare tutto e non esaltarsi mai, non pensare mai di essere i migliori e poi trovarsi con il culo per terra e non andare avanti.
Nel foglio bianco le uniche regole sono i confini, oltre i quali le parole volano nell'aria e i tavoli si sporcano. Il minore dei mali è starci dentro questi limiti, il peggiore dei casi è quando questi limiti sono imposti dal costo telefonico o dal fastidio delle chat.
Perchè il bianco di un foglio è il giallo di un sole, il rosso di un tetto e il verde dell'erba. E' lo scarabocchio con cui si disegnano gli uccelli, sono i pallini bianchi delle cappelle dei funghi. Ma anche il compito di storia copiato alle Superiori, le cartoline dal mare e la prima busta paga.
Cazzo quante volte ho fissato un foglio bianco con due punti sopra senza saperli congiungere, ma non perchè non sapessi cosa scrivere, ma soltanto perchè nella mia testa la storia di A non poteva congiungersi con B, epoche diverse, idee diverse, città diverse, sessi uguali. Anzi forse paralleli.
In tutto questo li fissavo e su altri fogli ho scritto di loro, senza dirglielo, senza lasciargli immaginare che su altre distese di bianco potessero avere storie parallele.
Due punti sono l'inizio e la fine di un tutto che fa iniziare altro e si dipana nel foglio, che a sua volta chiama un altro foglio bianco. E' fondamentale che sia bianco, che sia di carta, che sia carta e che si possa accartocciare quando le linee che hai creato non hanno un verso, una direzione o semplicemente non voglio dire niente.
Pensavo inutilmente di aver avuto una bella idea e come sempre ho lasciato stare il foglio bianco con due punti, ho abbandonato la carta perchè troppa sacra per le mie parole e mi sono buttato su qualcosa di cui poi non vi sarà traccia, nessuna retta. Per il bene di A e di B.

mercoledì, luglio 11, 2012

La Rivoluzione dal bagno di casa.

C'era uno spazio riservato tra di noi, come fosse pieno di ovatta. Il mio imbarazzo che mi fa sentire sempre fuori luogo, la tua corazza perenne. Premetto che niente voglio perchè tutto mi interessa.

Ci sono menti che concepiscono idee e altre che le portano a spasso senza dar loro aria, inscatolandole in notizie preconfezionate su quotidiani sportivi o in assenza di gravità, dentro negozi con aria condizionata o condizionamenti senza cause ed effetti.
Le critiche fatte dal cesso sono quelle che riescono meglio, perchè a prescindere da tutto sono già ben indirizzate. Tutto è criticabile. I testi degli 883, il colore della pelle di Gesù Cristo, la sessualità del Papa. Anche gli aneddoti dei nonni in bocciofila, sempre che abbia la voglia di starli a sentire.
Sì perchè io ascolto poco e ancora meno mi interesso delle opinioni altrui. Disegno soltanto delle rette lontane dal punto di vista che puoi avere, solo per essere contrario, per essere ascoltato e fingermi intelligente e interessante.
Ho votato Rifondazione e Berlusconi, anche nello stesso turno elettorale pur rimanendo di sinistra sempre o anche solo per qualche ora, frequentando i circoli di sezione nelle lunghe riunioni in streaming, collegato dal salotto buono di mia madre o dal bagno di servizio. Sempre senza carnalità, senza esposizione. Se prendo il sole potrei star male, sopratutto se in faccia.
Il mio posto fisso non posso metterlo in discussione, ma mi piace criticare chi non ce l'ha e lo vuole, chi sciopera e chi è precario. Rompono i coglioni per farsi sentire e allora io posto critiche su facebook e twitter o allungo le mani sulla tastiera del mio mac o pc per scrivere un post tagliente sul mio blog o un commento arguto su quello di un giornalista con cui identifico le mie ansie. Il giornalista lo cambio sempre perchè ogni settimana critico vedute e opinioni concentriche su lunghezze differenti.
Il rumore dello scarico è musica per le mie orecchie, come la musica che riesco ogni settimana ad avere gratis. Vedo qualche concerto, ma sopratutto non compro cd perchè "è da sfigati" e "fuori moda". Scarico da mille siti, ma sono contro la pirateria e a favore delle regole, l'importante è che non tocchino il mio giardino.
Mi fa schifo chi coglie i fiori di campo da regalare alla sua bella o da portare al cimitero.
Piuttosto porto la mia bella al cimitero perchè mi eccitano i morti e penso sia un posto alternativo dove scopare, una cosa che poi lei posterà su facebook e mi renderà "alternativo" coi suoi amici e introspettivo per le sue amiche. Bello e dannato, ma sopratutto critico per tutto senza fare niente.
Dal mio bagno posso criticare tutto nel tempo in cui mi chiudo dentro e non sapete cosa faccio. Troppo facile dire che tocco soltanto il pisello, no.
Critico la scelta di chi beve troppo, di chi frequenta i locali per bere, ma anche di chi non beve. Critico chi esce perchè è banale e poco divertente ma a Milano frequento solo i posti che contano perchè al Capetown la gente è troppo bella, al Miami la musica mi piace e negli altri posti no e certi posti di Corso Sempione sembrano Parigi anche se l'Assessore alla Cultura vorrebbe una città sullo stile di Berlino o Copenaghen. Ma non per i bordelli e le signorine di facili costumi, no. Per le architetture e le atmosfere che ci fanno stare bene e rendono più piacevoli le nostre fotografie.
Sogno senza dirlo per non esser fuori tempo, mi piacciono molte cose ma non lo dico per non contraddirmi e a volte ho anche pianto per un goal della mia squadra, perchè tifo ma non posso dirlo altrimenti per gli amici snob non sarei più uno di loro. Non ci diciamo mai cosa ci piace a meno che non sia alternativo, il resto lo teniamo per noi o lo critichiamo a mezza voce.
Ora vado ho un corso di yoga e poi un aperitivo sui navigli.

Parlando di noi rimaniamo sempre a mezz'aria. Saremo accettati? Se gli dico cosa penso di lui o di lei, cosa penso davvero senza coriandoli o sfilacciature...a mezz'aria non si sta bene, c'è aria pesante. Liberare la mente consente di volare con i piedi a terra.

martedì, giugno 05, 2012

Jogo da vida

Il gioco a zona interpreta la vita, attacchi spazi per difendere la tua partita.
Il gioco a uomo invece porta a faticare, seguire ovunque l'avversario in una sfida personale.
Non parlo di moduli, di tattiche e di numeri vi annoieri e questo non me lo posso permettere, sono in cerca di fans e di contatti, posso parlare di mode e di stili di gioco.
La bocca impastata del mattino e la voce schiacciata dalla stanchezza del giorno sono le tensioni del pre-partita. Poi ti scrolli le palle e il pisello, ti sciagui la faccia, le ascelle e le braccia, magari una doccia ma devi aver tempo. Il riscaldamento va fatto comunque con calma, serve a non farsi male durante la giornata. Concentrati, pazientemente, sentire ogni muscolo come risponde e come potrà lavorare.
Proprio per questo, appena alzato, non parlatemi e non telefonatemi. Ve lo chiedo per amor mio e del mio gioco.
Poi ti metti in campo ed ascolti il mister, certo. Ma devi trovare la tua posizione, la tua zona, cercarti i palloni giocabili conscio dei tuoi mezzi e di ciò che vuoi.
Vuoi toccare tanti palloni, ma sale anche il rischio dei tuoi errori. Ci sono partite in cui sbagli tutto, come ti muovi crei confusioni e qualsiasi giocata fai risulta sbagliata.
Ci sono giocatori che non sbagliano nulla e giocano semplice, altri sbagliano tantissimo ma hanno il numero che cambia ogni situazione.
Già ma cos'è una situazione...un contropiede non è come qualcosa che non ti aspetti? oppure un cross perfetto non è come un'occasione della vita che non puoi sbagliare?
La mattina devi rompere il fiato, trovare il ritmo della giornata e non sempre è facile. Ci sono mattine che vorresti la fine del mondo e altre che potresti fare tre lavori insieme e non avere problemi. La colazione è importante e non la faccio mai. Mi piace il bar, entrare e salutare, entrare e prendere il giornale, entrare e bere uno o due caffè. Entrare e uscire senza che nessuno sappia troppo di me se non il nome, la mia squadra del cuore e il mio umore.
Credo a volte che l'amicizia sia superflua come i riti scaramantici prima di una partita. Puoi farne a meno ma sai che senza perdi di sicuro.
Il pranzo, quando si riesce a fare, è la giusta pausa tra il primo e il secondo tempo. Si riprendono le forse e si allineano le idee, si ottiene a volte il consiglio giusto e altre si perdono i sensi o il senno.
Affamato o troppo sazio, l'uomo deve riprendere sempre il suo cammino pomeridiano. Un pò per far passare il tempo che manca a domani e un pò per arrivare a mangiare di sera. Correndo sulla propria fascia come si corre su una strada oppure gestendo i palloni come un traffico di momenti e accadimenti. Non ci sono cose ingestibili con la razionalità, la troppa razionalità uccide la fantasia.
E' un gioco sporco, un gioco maschio, un gioco che fa commuovere e porta al pianto. Un goal fatto per una partita importante non ha prezzo, un goal fatto per una persona importante vale per tutta la vita. Arriva sera, la partita sta finendo e qui conta come l'hai interpretata.
C'è chi gioca a zona e deve aver tenuto la situazione, controllato la rosa dei venti e venduto l'anima al compagno che ha di fianco. Somme di situazioni e distanze che regolano le azioni.
C'è chi ha instaurato una lotta con sè stesso, col proprio avversario e con le avversità. Un rimbalzo sbagliato, un passaggio lungo, un saluto mancato o qualcosa scritto a tarda notte, con troppo alcol e delusioni in corpo, giocando a uomo anche respirare deve essere fatto in linea con il proprio avversario. E' in questi casi che mi dico che il calcio è lo sport più bello del mondo, forse perchè è vita e morte. In quel momento, comunque sia andata, il triplice fischio segna il rilassamento dei muscoli, la perdita del filo conduttore cerebrale e lo scioglimento delle acque.
Poi domani inizia una nuova fottutissima partita.

giovedì, maggio 31, 2012

Confessioni di un blogger di m...

Che poi io non sono un blogger, sia chiaro.
Sono uno che scrive e questo non vuol dire io sia uno scrittore.
Allora sono uno e di questo posso esser certo, è una delle poche certezze che ho unita al fatto che ho cirsa 31 anni, che ora ho capelli mediamente lunghi e barba, occhi scuri, poca voglia di vivere e un paio di chili da buttar giù.
So anche di poter portare bene i due chili di troppo e me ne fotto.
Ascolto spesso ciò che mi sta attorno e lo trovo mediocre, come il fatto che si parli di sè stessi ma poi gli occhi raccontano tutto, come il perbenismo e la moralità.
Faccio pensieri insani e mi masturbo spesso pensando a suore perverse. Fanculo a chi non si masturba perchè dice di scopare e chi non lo fa perchè è insano.
Mi piace scrivere l'ho detto e ora tu l'hai letto. Mi piace ancora di più leggere e trovare nelle parole altrui quello che provo e quando trovo chi dice e parla di cose a me vicine voglio leggere tutto ciò che ha scritto. Sia egli uno scrittore o una pasionaria di haiku, un giornalista depresso o una curatrice di didascalie. Non sopporto chi pensa di essere Calvino perchè fa comunicati stampa, che non possono emozionare e non sono letteratura e ammiro chi con un sms riesce a darmi la sensazione che forse Sepulveda saprebbe darmi.
Ma sai anche tu che non servono scarpe belle per poter camminare tanto, basta averne voglia. Mi faccio camminate lunghissime solo per pensare a cosa non voglia pensare. Penso troppo, questo è il mio problema, unito al fatto che sono troppo razionale e troppo stupido per razionalizzare.
Esco a sinistra e mi guardo a destra, non sia mai che qualcuno alle mie spalle voglia seguirmi. Ma non mi segue nessuno, il cellulare ha smesso di vibrare e per esser seguiti bisogna averne voglia.
Non mi importa anche perchè se esco e vado a destra mi guardo a sinistra. A volte con lo sguardo vedo mio padre, al bar in lontananza e cambio strada perchè non mi chieda "Allora novità? Lavoro come va?". Nella testa suona papara pa pa parà.
Il mio pc ha poche vie di comunicazione al mondo, perchè le tengo chiuse. Ma sia chiaro non basta un Mac per essere connessi alla novità. Nemmeno per essere grafici o comunicatori. Sei ciò che sei, niente o nessuno, tutto o qualcuno.
Che poi io non sono un blogger, sia chiaro. Ma vi confido che mi sta sulle palle la musica elettronica e sopratutto chi pensa che la sua musica sia l'unica possibile.
Io ne trovo tante dentro la mia testa, potrei fare un djset senza cuffie senza dire niente, senza trasmettere nemmeno un suono. Te lo confesso mi ascolto difficilmente.
Ma non suono faccio il dj. Mi viene un'idea accattivante per un loop avvolgente, ma sono troppo conscio dei miei limiti che appollottolo tutto e lo butto via, nel cestino o nel cesso è uguale. L'ho già intasato più volte per progetti diventati aria.
Sia chiaro, non sono un blogger, ma mi confesso.
Ho iniziato più volte a scrivere qualcosa nascosto in cartelle dai nomi strani non esotici e poco erotici, non belli o accattivanti. Sia chiaro non sono uno scrittore, non ho mai scritto niente come anche chi pensa non è un pensatore.
Sono come uno che va in chiesa ma non crede a niente e ci va solo per vedere sotto le gonne delle vecchie bigotte, per uscire e andare a giocare a ruba mazzo nel bar della piazzetta. Fare tardi girando intorno all'isolato e avere contatti con nessuno se non con chi ti sbatte contro, come uno che cammina con una dolce sinfonia in testa, un loop romantico da masturbazione mentale.
Al momento mi confesso così, ma ricorda che non sono un blogger ma solo uno che scrive cose a caso pentendosene un attimo dopo, solo perchè non ha ancora capito cos'è un attimo.

martedì, maggio 29, 2012

La strana danza della Natura indotta dal bisogno dell'Uomo

Nella strana danza delle parti mi mancano alcuni punti fermi per capire cose che non so.
Se tutto trema intorno a te, perchè a morire sono spesso quelli che lavorano?
Distrattamente mi accorgo di quello che intorno a me ha un peso, perso nelle mie
letture inutili e nei pensieri ancora più volatili. Non sento scosse, sono insensibile e non
so ballare perchè non capisco il ritmo. Oltre a non avere gusto per la musica elettronica.
Mi piacerebbe uscire da un tunnel mal celato di comportamenti e usanze e se potessi farei
a cambio con qualcuno che si trova da un'altra parte del Mondo, portandomi dietro solo
i miei libri e i miei cd.
Sono così stupido che penso al materiale nel momento in cui si sgretolano i massi, ma da
quando i massi non rotolano più capisco che il possedere qualcosa ti da un senso di
esistenza, sopratutto se il materiale è l'unica cosa che hai.
Sarebbe una scelta pessima o una conferma di fallimento, ma forse comincio a pensare
che qui sia già finito da mangiare e che le briciole mi son sempre state sul cazzo.
Il becchino bussa alla porta e trova dalla parte opposta Nessuno a rispondere. Tempi grami
anche per morire coi costi dei funerali, anche se il suicidio ora è diventato ancora più
democratico della morte stessa. Operai, imprenditori, vecchi ricchi e nuovi poveri.
Il terremoto invece prende solo gli operai e le case della gente comune.
Tutto si sbriciola sotto i tuoi piedi, tutto crolla sulla tua testa e le macerie siamo sempre
e solo noi, mio caro, fermi immobili ad aspettare il Messia.
Io non sento il terremoto, non mi è mai capitato a Milano, solo nelle Marche mi capitò.
Ricordo i momenti ma non ci colse particolare paura, forse perchè ai tempi non avevo
un social netwrork per commentare. Ora tutti ci tengono a far sapere le sensazioni avute,
mettere in rima la paura o fotografare la tensione. Io forse se avessi paura non starei
a scrivere ma scapperei all'aperto.
Ma non deve esserci il panico e nemmeno la paura, non è facile ma nemmeno impossibile.
Ho mal di schiena e comincio ad esser vecchio per i luoghi di divertimento altrui e per i
campi in sintetico. Il mio senso del divertimento l'ho perso da qualche parte.
In quella strana danza non mi rendo conto di cosa ci sia di fisso e cosa ci sia di variabile.
Poi non so ballare e ho un brutto gusto musicale che mi porta spesso a comperare solo
cd originali per darmi un tono e spendere soldi.
A cosa serve sommarli ad altri soldi scommettendo il proprio onore?
Sarà che non ne ho mai avuti, ma ci capisco ancor meno.
Son tutte scosse, tutti scossoni, nulla di certo quindi se non il crollo di qualcosa.
Non è insensibilità la mia, nemmeno cinismo di fondo anche se in fondo si mischia a
qualcosa di denso e necessario.
In Italia serve una scossa è chiaro e lampante come uno di quei lampioni che si accendono
in strade deserte e illuminano benissimo solo uno sparuto cono sotto di loro. Ma non di
queste scosse sto parlando. Anche perchè non capisco perchè a morire siano sempre gli
operai che lavorano.

martedì, maggio 22, 2012

Il tempo isterico cannibalizza la moda vintage degli orologi a cu-cù

Dannazione, potrebbero avermi visto.
Nel disuso quotidiano della mia frustrazione avrò anche il diritto di sentirmi un pò distante.
Ero una rock star di livello mondiale che si trova confinato al livello condominiale.
Niente camerini, niente lettini, niente caramelle. Aiuterò i miei a fare scatoloni riempiendoli
del niente che siamo presi in prestito.
Avevo scritto post per la condivisione e ne sarei uscito famoso, ma così non è stato e
pazienza se un Signore un giorno se ne andò e poi tornò. Se io vado...vado.
Ero una rock star e cantavo male, stonavo gli acuti, storpiavo le frasi e non me ne è mai
importato nulla, nemmeno a voi. Sinchè non è uscita la forma, il sopracciglio sottile e i capelli
in ordine. Nel mio disordine non potevo starvi bene, la tempesta del Mondo riordinava i miei
capelli anzichè metterli in disordine. Gli adolescenti mi vedevano male, perchè così voleva la televisione. Mi rivedo nel me stesso da ragazzo, mi rivedo in loro, in quello che voleva mia
mamma e che diceva il prete.
Avevo messo in testa alla gente che non importano i colori, basta colorare la solitudine, invece
poi era primavera e bisognava dare un peso anche ai sogni.
Il costume a righe ingrossa il culo, due pezzi anzichè uno. Stappare birre era reato se fatto con l'insistenza che un maglione ti concede. Così non si poteva andare a far volare gli acquiloni, perlomeno potevo andarci io, che sono una rock star, anzi lo ero.
Nel condominio sono tutti pazzi o il pazzo sono io che non capisco la loro quotidianità. Il mio
piano è troppo bassi e più in alto c'è lo spazio di volare.
Mi sfogo per provare di esser vivo ma non canto più, perchè non scrivo più, perchè non leggo
più. Non ho più la voce che mi legge dentro quando ho in mano un libro. Così li impugno e
salgo all'ultimo piano, provo a farli volare e cadono a terra. Non sono acquiloni, ma credevo
che le idee fossero più leggere di un oggetto. Invece cadono, sotto il peso dell'imprudenza.
Una rock star non sanno nemmeno cosa sia in certi posti. Smontando castelli e sgomberando
cantine, tagliando la carne o pulendo le strade, trovo pesi e misure che rivedo nelle misture
dell'arte o nella ricerca del colore. L'ho fatto non lo dico a caso, una rock star operaia.
Non lavoro più perchè non penso più, perchè non apprendo più.
Ho tagliato un pezzo di ciò che pensavo rotto, sperando che abbia vita propria ma credo che
abbia lo stesso peso di estrapolare una frase da un discorso, il particolare dal complesso.
Finirò come ogni sera sul mio palco personale. Mi metterò a pensare al tempo che passa sulla spiaggia di un'isola greca o su una panchina di Piazza Napoli, non credo ci siano differenze.
Sono una rock star che canta fuori tempo, di un gruppo rock fuori moda e non ho mai avuto
voglia di fare il sound check. Lo lascio ai mediocri di successo.

sabato, maggio 19, 2012

Tutto ciò che non sei mai Stato

Una volta ricordo di aver pianto guardando la televisione.
E' un ricordo di qualche anno fa oppure un incubo sconnesso, di quelli che ti svegli e ti sembra vero, di quelli che a sedici anni ti fanno perdere la verginità con Pamela Andersson.
Una donna in Israele diceva di mandare a scuola, nelle stessa scuola, i figli su autobus e linee differenti, perchè se fosse successo qualcosa a uno non sarebbe capitato all'altro.
Io rimasi fermo a pensare, nel reale o in sogno, poi ho detto "porco dio...ma come si può vivere con questo pensiero nella testa". Dev'essere un tarlo, un qualcosa che ti uccide a poco a poco.
Non quel morire lento che tutti noi portiamo avanti quotidianamente mascherandolo con la crescita, la maturità o la vecchiaia. Una morte lenta e dura, difficile da digerire.
Se fosse mia la figlia morta oggi penso che farei di tutto per riprenderla, oppure morirei giorno dopo giorno. Se fossi stato io a morire oggi, forse il Mondo non avrebbe perso nulla ma i miei genitori avrebbero cominciato a morire.
Quel pensiero della donna israeliana è forte, è coraggioso, non è di chi si piega e si lascia andare, perchè loro a scuola vanno. Il messaggio sta in quello.
La strategia del terrore ora deve farci piegare, aver paura di leggere e istruirci, di prendere ciò che vogliamo, di amare o di odiare, di pensare. Quello che vuole chi sta dietro a tutto questo sta proprio nel far star zitto il popolo, nel non voler spezzare il potere malato che guida un paese.
Ieri Piazza Fontana a Milano, Piazza delle Loggia a Brescia, la Stazione di Bologna, i rapporti tra Stato e terrorismo, Capaci, la delegittimazione di Falcone e Borsellino.
Oggi, mentre a Milano, Roma, Palerno, Catania e altre città si prova, anche in modo discutibile a dare spazio a cultura e creatività, alla noia e al torpore, a Brindisi è stato dato un colpo forte alla forza che dal basso sta salendo.
In Italia come in molti altri Paesi sta uscendo questo, la generazione dei trenta quarantenni sente che il futuro le è stato tolto ma che lo sta pagando, con tasse, lavoro, obblighi. Sente di non poter avere una casa, di non poter permettersi figli, che tutto è un lusso.
La strategia del terrore non deve far smettere di pensare, di leggere, di riunirsi e di manifestare, di odiare e di amare, di occupare, di discutere, di trovarsi.
La risposta sta nel capire dove sta la legalità e chi ne può parlare. Sta nel prendersi cura di ciò che è attorno a noi, nel pensiero democratico, nel fare politica e non nei partiti.
Sta nel continuare ad andare a scuola e istruirsi, nel conoscere la Mafia e i suoi amici, nella cultura.
Il messaggio sta nel continuare ad andare a scuole, magari cambiando strada tutti i giorni.

venerdì, maggio 18, 2012

Se i miei genitori non avessero mai scopato e avessero letto un libro

Se i miei genitori non avessero mai scopato e avessero letto un libro.
Se quella fottuta guerra si fosse portata via mio nonno.
Se anzichè scrivere stronzate iniziassi a costruire ponti e se questi ponti li usassi per unire
i pensieri.
Se iniziassi a fare anzichè a dire che ancora non ho fatto un cazzo.
Se nuotassi in orizzontale nell'aria.
Il problema sta sempre nel mattino che arriva nel momento sbagliato, nel tempo che passa
veloce nel non fare niente. Nel senso di inutilità.
Nelle frasi di chi ti dice che sei importante e che saresti bravo, nel non voler sentire nessuno
parlare. Nel provare fastidio nell'avere vicino qualcuno.
Se ti cercano ti danno fastidio e se non lo fanno avvalorano il fatto che sei inutile, pensando di
essere deleterio nel tuo pessimismo verso tutto e tutti, dagli esseri umani ai tuoi progetti.
Nella carica che avresti nel fare le cose che non fai e di come questa poi si tramuta in un'onda
che ti travolge e ti porta via.
Nelle cagate che ti verranno in mente leggendo e del fanculo che mi dico scrivendo.
Se i miei genitori non avessero mai scopato e avessero letto un libro.

martedì, maggio 08, 2012

Cartoline da M^C^O

Cos'è la legge? Qualche sera fa mi sono trovato seduto in mezzo ad altre duecento persone ad ascoltare Gherardo Colombo. Lui ha posto il suo intervento intorno a questo banalissimo quesito.
Cos'è la legge? Sono quelle domande a cui non sai mai cosa rispondere, quesiti scomodi proprio perchè li dai per scontati. La prima cosa che viene in mente è la scomodità, la privazione.
Legge uguale privazione della libertà personale, ma poi ci ragione e capisci che sei libero proprio perchè intorno a te ci sono delle leggi. Non come quando sei bambino però, che se fai il bravo allora dopo cena avrai il tuo cioccolatino, no.
La possibilità di avere una Costituzione previene e mette in guardia da inconvenienze e prepotenze, da fascismi e intolleranze. Vero non accade sempre e allo stesso tempo abbiamo visto che spesso gli stessi politici sanno come passarci sopra. L'inconvente sta nel chi le utilizza, le leggi.
Ma quindi cos'è una legge lo sappiamo, tutti noi abbiamo un'idea, ce ne siamo fatti una grazie ai nostri genitori, ai nonni e alla nostra cultura.
Oggi siamo in un periodo confuso, non devo essere certo io a dirlo o a farlo notare. Il lavoro scarseggia e le tasse aumentano. La coscienza collettiva, quell'humus e bene comune che in fondo accomuna tutti, anche chi ha visioni opposte, ci porta a ragionare e non a reagire con ardore e forza. Una volta si sarebbe detto violenza. Forse la società più istruita ha tolto grinta e vitalità e dato razionalità ai pensieri dei giovani, fatto forse positivo ma sicuramente un pò disarmante.
Nel '60 e '70 si marciava in piazza, oggi si manifesta su facebook. Prima si lanciavano i sanpietrini e oggi le foto di instagram.
Oggi si sente dire che è meglio andare via da Milano e dall'Italia, che New York e Londra sono il futuro e il meglio che ci possa essere. Ma cazzo, io godo quando mi sento dire che "resto qui perchè si può fare qualcosa". Questo qualcosa non deve essere per forza un atto estremo o violento o chissà che. E' anche partecipare alla vita quotidiana, non parcheggiare nel posto dei disabili, lasciare il posto sul tram a una vecchia, aiutare il vicino. Mandare a fare in culo quando è giusto, opporsi e fare vita civile. Non sono un buonista e odio il buonismo forzato. I miei esempi sono ovviamente delle forzature, ma in questo le leggi vanno seguite, per cambiare da dentro quando servono.
Passarci sopra solo per migliorare il nostro vivere comune. Non amo, di base, le occupazioni, ma credo che ciò che sta accadendo ora a Milano, che è successo al Valle a Roma o al Coppola a Catania o al Garibaldi a Palermo sia un esempio. Certi spazi e certi stimoli andiamoceli a prendere nella nostra città, non a Londra, Berlino o New York. Io ci vedo questo nelle leggi, nella Costituzione e nella faccia di chi incontro in giro. Magari in Italia è giunto il momento di rimboccarsi le maniche e partecipare. Magari non sempre si ha la voglia o il coraggio di farlo attivamente, ma ogniuno nel proprio piccolo qualcosa può.
Forse una cartolina un pò lunga ma non mi importa.

venerdì, maggio 04, 2012

Del moralismo e delle altre sporche leggi.

Nella vita sai, ne ho viste poche. Ho vissuto sempre a Milano, ho parlato molto spesso quasi
sempre con le stesse teste. Ho visto quasi sempre gli stessi occhi e mi sono aperto davvero
con pochi. Nella vita però, parlo della mia, ne ho sentite e lette tante e per certi sensi anche
vissute. Purtroppo sono una persona curiosa, lo dico senza finta umiltà. Odio la finta umiltà e
mi piace fottutamente sapere e conoscere ciò che sono gli altri. Prima di dare un giudizio su
una persona voglio almeno averci camminato o bevuto una birra o giocato al fianco o visto
come reagisce alle mie stronzate. Non sopporto e odio il giudizio sommario.
Forse perchè se venissi giudicato sommariamente sarei davvero poca cosa, chi ha avuto modo
di starmi vicino e parlare davvero con me questo lo sa.
Mi stanno dannatamente sul cazzo persone che si credono di essere chissà chi solo per il
ruolo che hanno, per la posizione di "potere" che credono di avere, per il perbenismo o il
moralismo che esprimono o per il semplice sentirsi superiori. Sono purtroppo un finto esteta dell'esser pratici, coi suoi pro e i molti contro.
Adoro chi butta tutto oltre l'ostacolo esponendo la sua persona in ciò che fa senza pensare alle conseguenze, il suo vero Io, fino all'estremo. Fino all'essere criticato, fino all'errore. Ho
sbagliato tante volte e sono sempre stato pronto ad ammetterlo. Ho sbagliato a volte a non
buttare tutto me stesso. Gli errori si fanno e io li ammetto.
Ma sbagliare è bello, sbagliare ti fa conoscere meglio te stesso e gli altri. I miei limiti me li
tengo stretti, provo a migliorarli ma li vedo.
Giudicare senza conoscere, affondare gli altri per esser belli, credersi superiori, no. Anzi
offre visioni sbagliate della realtà. Per questo vedo con rispetto storie agli estremi, mi
commuovo per chi ha fallito perchè almeno ci ha provato e rido per chi giudica e non fa mai
nulla in concreto.
Chi fallisce lo fa perchè ha un talento e non provare a sfruttarlo lo stronca.
C'è come un fatato mondo dietro al quale ci sono cose giuste e cose sbagliate, un fondo di
buonismo mischiato a due dita di snobismo e quattro o cinque dosi di moralità.
Nella vita prima di giudicare un errore o un merito mi sono sempre dedicato a capirne cause o
effetti. Penso di essere stato fortunato in molti miei meriti (che son pochi) e colpevole per le
mie colpe, causa del mio carattere e della mia indole. Portata sicuramente all'esser passiva e
quindi errata.
Ma prima di giudicare qualsiasi gesto ci sono mille varianti, storie e confini che entrano in
gioco, prima di essere davvero sicuro tu di essere quello "bello e pulito" prova a entrare in
campo e poi ne possiamo parlare.
E' la ferocia della normalità, il difficile scontro dell'apparire in un mondo dove mille euro al
mese sono tanti, è la lotta del pesce piccolo contro il pesce piccolo. Voi moralisti e perbenisti
siete dei mediocri e i mediocri sanno guardare solo in casa d'altri per vedere le differenze.
Vi prego, dopo aver letto questo post createle le differenze senza cori, etica e religioni.

giovedì, maggio 03, 2012

Se

Se in passato ho chiesto a qualcuno di scrivere qualcosa per questo blog, l'ho fatto perchè volevo aprirlo a chi lo leggeva spesso.
Se oggi chiedo a voi di scrivere qualcosa è perchè io non ho niente da dire. Credo di non aver niente da dire o da dare, poco da fare e niente da baciare. Il testamento non voglio ancora farlo.
Manca lettera. Quindi chiedo a chi passa di qui di scrivermi qualcosa di bello e significativo nei commenti sotto, anche in anonimato o con le iniziali.
Qualcosa che sia un tutto o un niente, bella o brutta. Non chiederò mai più tanto, promesso.

lunedì, aprile 23, 2012

"ride bene chi ride ultimo" era il tantra del suo mantra

Un vestito migliore era tutto ciò che avrebbe dovuto comprare. Per i colloqui di lavoro che non aveva da tempo, per non uscire sempre in mutande ciabatte e calze bucate, per non essere identificato sempre in quelle t-shirt adolescenziali. Lui era nato con la camicia.
Una buona famiglia, una media istruzione, un buon numero di giochi e un pessimo rapporto con le ragazzine. Quanti non sono si rivedono in questa descrizione sono come quelli che dicono di non masturbarsi e hanno gli occhiali da sempre. Ipocriti, come la pioggia.
Aveva talento ma non nel suo contesto, come una tromba in mezzo a un pezzo rock o come chi non sa quale sia il suo contesto e annaspa per trovarlo. Insomma un vestito nuovo, di una foggia consistente, ecco cosa avrebbe dovuto acquistare. Manca poco a Natale e i soldi delle mance dei parenti li butterà tutti da un sarto. Già ma...i nonni sono morti e gli zii son preoccupati a pagare l'affitto ai figli disoccupati. Fanculo il Natale e i suoi sporchi giochi di potere.
Come l'amore anche il Natale è stato creato dagli esperti di marketing che insieme a qualche cocainomane e un paio di grafici hanno montato il teatrino. Vogliamoci comunque bene.
Idee e pensieri sparsi i suoi. Forse un pò da stronzo, ma dopotutto non aveva soldi per un vestito.
Non sa se sia sbagliato ma, sa di aver cambiato sguardo e sorriso. Un pò come un pagliaccio che poi si mette a uccidere i bambini in un film comico dell'orrore.
Graficamente impostava la sua persona su tinte di rosa perchè dentro sè nascondeva uno spirito da Barbie vestita da Betty Boop, filosoficamente immaginava di non dover pensare a niente continuando a pensare che fosse il pensiero migliore, realisticamente attendeva la speranza con la speranza dell'attesa. Capì sin dal primo momento che i soldi avrebbe dovuto procurarseli da solo per il vestito nuovo. C'era da lavorare e prima di tutto c'era da lavorare su sè stessi. Andando a casa pensò alle prime cose che potevano fargli bene in una situazione di "guerra e pace" col mondo.
Per vincere la guerra niente poteva esser meglio di una doccia e due shampoo, magari comprensivi di un bidet e un attendo uso dello spazzolino. Visto quanto si sentiva meglio, decise di sconfiggere la pace con un metodo soft ed emozionante. La barba. Tagliarsi barba e baffi delineando il viso gli toglieva anni e lo faceva sentire rilassato, almeno fino al primo squillo del telefono o al clacson di chissàchi chissàdove.
Finiti i preparativi e deciso a cercare un lavoro, dei soldi, una stabilità e un percorso, si scontrò contro il buio della strada. Già cazzo, nel suo essere sbadato non aveva fatto casa alle variabili futili che regolano e scandiscono le vite. Gli orari e le abitudini, i cani da portare a spasso e le malattie, il sole e la luna. Era troppo tardi per importunare qualcuno con una richiesta tanto arguta.
Dopo uno sguardo al cielo buio, uno a destra alla strada vuota e uno a sinistra verso la strada ugualmente vuota riaprì il portone tirando fuori il mazzo di chiavi.
Domani sarà un altro giorno uguale, ma pur sempre buono a render la sua vita qualcosa di completo. Stanotte mangerà l'altra metà della sua mela in attesa che dal cielo piovano canzoni.

giovedì, aprile 19, 2012

Il piatto del giorno è: "pensieri sparsi stracotti al forno in salsa onanista"

Siamo solo ai dettagli e già mi sono perso.
Mi guardo le unghie per vedere se son sporche, ma senza faticare non le sporcherò.
Ho i capelli sporchi e me ne duole. E' il mio fascino nerd che ne trae vantaggio.
Se non ce la faccio più a sopportare il mio odore, una doccia può cambiare. E' una visuale
sola che si appanna, sono due istanti che mi possono calmare.
La barba appena fatta e le luci della sera, a volte voglio uno shampoo solo e una faccia
da cambiare, modellare e farla diventare bella. E' il mio debole per il diverso che mi chiama.
Se non puoi calmare niente, una cosa la puoi fare. Io solo nella doccia posso sempre ripetermi
che l'acqua bollente caccia i cattivi pensieri e il vapore che sale sono spiriti finiti.
Appanno un vetro e riesco a parlare. Parlare senza nessuno che mi stia ad ascoltare,
parlare senza nessuno che mi possa dir la sua. Parlare mi fa calmare.
Del resto mi interessa poco, poco interesse come il bagnoschiuma. Che deve essere neutro,
poco profumato ed economico, proprio come il parere altrui.
Deve essere il mio autismo psicologico.
Come allo stadio così anche al cinema fatico ad andare con altra gente, non per la voce
o per l'odore, non per la mente o per altro, ma per quello che potrebbero dire.
Un giudizio sbagliato e cade tutto il castello di carte e io a carte non so giocare.
Però due fili d'erba bagnata bastano a farci felici. Due maglioni e un pallone quando va bene.
Il sottile passaggio dal "potrò fare" all' "ormai è andata così" è il sentimento di rivalsa che
ci porterà tutti, un giorno, sotto terra.
Perchè a morire sono i deboli ed è inutile pensare di esser forti quando tocca a te. Non è
vero che i padri non debbano vivere più a lungo dei figli, io non lo vorrei, forse.
Adesso preparo la borsa, ma le cose importanti le dimentico sempre, mi raccomando
portale tu. Non scherzo, quando parlo seriamente come ora c'è chi ride o non capisce.
Quando sono serio vengo preso poco sul serio. Il triste declino della mia vena interpretativa
sulla coscienza altrui o lo sgretolarsi dell'ego di pongo.
In televisione parlano delle crisi e degli sprechi, ma non ho ancora sentito un regionamento
autonomo sul come non fare o sul perchè alzarsi al mattino. Come se chi non ce la fa
sceglie se suicidarsi per debiti o andare a prendere l'ennesimo caffè corretto.
"no grazie, non mi fa dormire". Eppure il mondo è pieno di gente diventata famosa solo
dopo essersene andata, ma quando era presente nessuno se n'era accorto.

Se le preghiere dei preti non sono come i loro movimenti, se i piccini piacciono ai grandi o se
il sorriso è in bocca a tutti quelli che non hanno un cazzo.

Se essere è uguale ad avere e il pianerottolo è il centro del mondo come un tappo che tiene in piedi il mare.

Se dire e fare fossero la stessa cosa sarei biondo e con gli occhi azzurri come a sedici anni, quando ero innocente e non avevo detto mai "lo giuro".

Il piatto del giorno sono pensieri sparsi cotti al forno in salsa onanista.

domenica, aprile 15, 2012

Il controllo delle date serve solo a chi crede nel tempo e spesso sono i produttori di calendari

Ecco, forse non si inizia mai uno scritto con "ecco" ma in fondo oggi ce lo lasciamo andare.
Fuggire via. Sciacquare. Il giorno di festa tutto è concesso. Se vale tutto allora tanto vale
non avere regole. Ecco.
Ecco appunto. E' la prima volta che mi arrovello intorno a una parola tanto inutile quanto
totale. Ecco riporta all'attuale, al momento, all'attimo. Perchè ecco è una parola che scade
subito anche se scritta. Dire ecco adesso non equivale dirlo ora. Nemmeno ora.
Ecco in questo pezzo ci sta proprio, perchè oggi, ora e adesso questo blog compie 7 anni.
Questo vuol dire che in 7 anni qualcuno c'è passato e ha letto, qualcuno si è emozionato
e molti altri pensano solo siano cazzate e che la loro lista della spesa sia migliore.
In 7 anni un blog l'hanno avuto tutti, oggi ce l'hanno solo i grandi giornalisti sui siti di
opinione, qualche vip aiutato da un ghostwriter e qualche irriducibile che lo usa per fare
la propria psicoanalisi. Io sono una grande rockstar che si psicoanalizza e poi ci sono quelli
che parlano di cucina, di vestiti e dei cazzi loro.
Ma 7 anni fa ce l'avevano in pochi e pochi son rimasti, poi è stata la moda e pochi son rimasti.
Per questo ci sono affezionato, per questo e perchè è una delle cose che più mi rappresenta.
Come la coperta di Charlie Brown o le trecce di Pippi CalzeLunghe e di Gullit. Come
il pisello di Rocco Siffredi o Woodstock per Snoopy. Valori seri.
Ecco che allora spesso mi trovo a rileggere vecchi post e decriptarli, perchè dopo anni
anche per me è difficile capire cosa volessi dire davvero, quale altra frase c'era sotto e
rivivere certi momenti, certi ricordi.
Mi sono appena scoperto a ridere e commuovermi rileggendo un vecchio post, del 2005,
sugli allenamenti, sui compagni e sugli streep per esultare a un goal in pieno Dicembre, un goal
che non conta nulla nel riscaldamento e correre nudi in mezzo a un campo. Oppure parole
regalate alla difficoltà di un amico, al rancore personale o guidate dall'alcol. Cose scritte
per amore senza dirlo o guidate dal pensiero verso chi non c'è. Sono solo poche gocce in
un mare di parole e ricordi che non ti possono dire nulla o forse poco.
Mi perdo spesso in pagine o parole per ricordare emozioni o istanti, sopratutto ultimamente.
Di sicuro se ora stai leggendo molte di queste parole ti diranno qualcosa oppure potrai
rivederti in qualche modo. Ecco, tutto questo puoi farlo ora, adesso.
Dopo 7 anni anche io posso farlo ora e sempre dando una scadenza maggiore a tutto questo.
Ecco, forse non si finisce mai uno scritto con "ecco" ma in fondo oggi ce lo lasciamo andare.
Finire così. Terminare. Il giorno di festa tutto è concesso. Se vale tutto allora niente vale.
Ecco.

venerdì, aprile 06, 2012

Come un rotolo di carta igienica

Basta un programma sul cellulare per essere dei bravi fotografi. Almeno per crederlo.
Il potere della tecnologia oggi ci può dare con due ditate quello che fotografi hanno
studiato e imparato, sbagliato e imparato nuovamente, per anni.
Anche se i giorni si susseguono senza un peso o gioie esasperate, con muri fissati
che non si spostano mai, le giornate passano lo stesso. Sono queste banalità le uniche
cose fissate nella testa. Fissate con uno scatto, sfuocato ad hoc.
Come l'acidità di un commento, come il tempo fissato su un orologio, come il tempo
che non viene fissato su un orologio. Tutto passa lo stesso.
Intorno a te tutto si muove troppo velocemente? Inutile rincorrere le attese, meglio
stare fermi e immobili e prima o poi si stancheranno. Appendere le scarpe al chiodo
è la migliore soluzione che vedo per il mio corpo, in attesa dei tempi migliori.
Quelli passati in riva al fiume in attesa di vedere il cadavere passare e poi star fermi
per capire di chi cazzo fosse.
Basta un sito sul computer per essere dei bravi scrittori. Almeno per crederlo.
L'insuccesso dell'editoria attuale riporta in strada il vuoto delle teste dei passanti. Tutti
troppo presi dal taglio dei propri capelli anzichè da quello che sta sotto.
Credo che tra tutte le persone che conosco, soltanto 10 di loro superino i 20 libri letti
in un anno e nemmeno di tutti sono sicuro. Potrei dire lo stesso su dischi comprati o
ascoltati, artisti conosciuti.
Sarei molto meno ottimista su ragionamenti fatti e non imposti dalla pubblicità, da
un colore cui si è affezionati o dal ricordo del peluche quando si era piccoli.
Con questo non voglio giudicare chi mi era amico e forse lo sarà.
Basta un gioco di sostanze chimiche per essere felici. Almeno per crederlo.
Il peso che oggi hanno pochi sul resto toglie il peso alle parole e offre il fianco alle
opinioni imposte.
Anche se non vorresti vedi cose che non vuoi solo perchè imposte, ricevi messaggi
imposti e in tutto ciò non ti imponi. Ti affezioni a Babbo Natale perchè è vecchio,
grasso e rosso oppure pensi che il cuore, un organo molliccio e zuppo di sangue sia
l'organo dell'amore o dell'affetto.
Fermi alla stessa fermata non possiamo accorgerci se ci sono cose che cambiano tutto,
né se qualcuno vuole farlo, né se qualcuno ha bisogno di farlo. Fermi alla fermata si
aspetta il solito tram per la solita destinazione sicura. Casa.
Come un rotolo di carta igienica aspetti il tuo momento per pulire il culo di qualcuno,
quando arriva sei felice e ti senti pieno. Ma il rotolo, pur lungo quanto la vita, prima
o poi finisce, strappo dopo strappo, culo dopo culo.

mercoledì, marzo 21, 2012

Meet a freak on Giambellino Street

Ascoltavo John Lennon quella sera, per la precisione la raccolta Lennon Legend.
La lavatrice non finiva mai, il sonno tardava ad arrivare e forse non avrebbe mai
fatto capolino quella notte, chi lo sa. La birra nel frigorifero chiamava ad alta voce,
ma non volevo sentirla e lo stereo dava chiari e forti segnali di quella saggezza che
forse anche io potevo cogliere lì, sul mio divano.
In sere come quella i veri artisti avrebbero trovato qualcosa di buono da scrivere,
qualcosa di ispirato o di fantasioso.
Io no, me ne stavo fermo a fissare il monitor del pc intento a fare qualcosa di buono.
Qualcosa come mettere insieme delle parole che mi avrebbero reso famoso. Come
spesso però capita in queste sere, me ne sarei rimasto lì per altri minuti ad attendere
la lavatrice e poi, una volta stesi i vestiti, sarei andato a letto a leggere ciò che qualcuno
aveva scritto per me. In fondo è molto più comodo così, la vita da finti scrittori
d’appartamento o forse, meglio, scrittori domestici.
Non sporco molto, mangio il giusto e non consumo nemmeno fogli di carta imbrattati
da inchiostro o da mine di matite spezzate a metà.
Il dramma del foglio bianco è inquietante, una continua provocazione anche quando
alle parole manca solo il modo per uscire da quella porta. Come mettere in gabbia delle
farfalle o liberare un pesce rosso in una vasca troppo grossa.
Sono delle forzature senza senso.
Le vie da percorrere servono a portare via pensieri che portano via se stessi verso altre vie
fatte di versi e percorsi a volte lontani ed altre paralleli. Questo è un foglio bianco, una
lunga autostrada senza sbocchi che non porta a nulla.
Scrivere è un po’ come fare quattro passi e non avere voglia di guardare l’orologio
oppure correre dietro a qualcuno senza volerlo mai davvero prendere o superare. Ma
è molto diverso dal fare un viaggio senza una meta precisa, perché quel viaggio lo vuoi
fare per poi poter scrivere qualcosa.
Infatti, io esco sempre a piedi dal mio portone.
Quando vado sinistra mi guardo attentamente alla mia destra e faccio la stessa e
identica cosa quando esco e vado destra. Fisso e scruto l’orizzonte nella direzione
opposta per aver certezza di non perdermi nulla, ma proprio nulla di quello che mi lascio
alle spalle. Il resto sarà fatto da ciò che i miei passi saranno in grado di fare.
L’ultima volta che sono uscito a piedi dal portone di casa ....

giovedì, marzo 08, 2012

La ricerca della dolce illegalità

Felice Maniero era "Faccia d'Angelo" o "il boss del Brenta".
Altre serie tv si abbattono sui desideri di onnipotenza dell'uomo comune. Lo dico
da ammiratore dei libri e delle biografie di ex-criminali ed ex-terroristi. Ho perso la
vista sulle storie delle Brigate Rosse, ammirandone i primi ardori e detestandone
i finali tristi. Ho studiato, nel piccolo della mia ignoranza, le dinamiche interne,
i komintern e le discussioni, lo stretto e ipnotico scrivere delle riunioni, così
prolisse e piene di paroloni e allo stesso tempo la pochezza intellettuale di alcune
figure. Ci si appassiona di più a ciò che si legge o a ciò che si vede?
Alberto Franceschini, Renato Curcio e Margherita Cagol erano tre giovani idealisti,
molto convinti e un pò illusi quando nel '70 fondarono le Br.
Non ho visto film su Vallanzasca, ho letto il libro "Il fiore del Male" e altre interviste.
Mi sono appassionato molto di più alla storia di Luciano Lutrigh, il Pianista
del Mitra. Storie di una mala milanese da bar, da osteria. Posti dove c'era il
"belsò" e le bische clandestine si sviluppavano in periferie. Come in Piazza
Tirana, a due passi da casa mia, con gli Epaminonda detto "il Tebano" e i Francis
Turatello a tenere in mano Milano. Son cose che raccontate non fanno così
male perchè vengono romanzate. Dai nonni, dai padri, dai vecchi al bar.
Son storie che lette servono a mantenerne un ricordo vivo, pericoloso e
affascinante. Perchè ogniuno può farsi il suo film e ogni mente eleborare i
propri eroi. Carlo Alberto dalla Chiesa era un eroe? Gianni e Umberto Agnelli e
come loro centinaia di industriali, sono da considerarsi alla stregua di terroristi
legalizzati o semplici cittadini abbienti? Tutti noi dobbiamo aspirare ad
essere come Maniero o come Vallanzasca?
Renato Vallanzasca era il "bel Renè" perchè spendeva la sua vita e i suoi soldi
a sfruttare il suo faccino tra puttane, bische, alcool e ancora donne.
Quello che mi chiedo è a cosa servano serie e film così? A fare in modo che
quelli della Banda della Magliana diventino idoli? Il libro di De Cataldo è uno
dei migliori che abbia mai letto e anche io mi sono fatto il mio film personale
consumando quelle pagine, ma da qui a farne accendini, magliette e veri e
propri miti ce ne vuole. Passi per il primo film, mi chiedo perchè ci debba
essere la necessità continua di queste figure, che pure ammetto affascinanti.
Di cosa ha bisogno la gente? Perchè ci si deve riportare a figure malate,
perverse, sporche e ammiccanti? Forse è la deriva della società del
Grande Fratello. Forse si ha bisogno di evadere dal piattume delle vite.
Forse è meglio che le cose ci vengano raccontate a "loro" piacimento anzichè
farci una realtà "nostra" simile a qualcosa di vero.
Sopratutto mi chiedo se un domani le serie tv verranno fatte su Olindo e Rosa
o su Misseri.
Alcune risposte me le son date, su altre mi serve una mano.

lunedì, marzo 05, 2012

Il ciclista lasciò al top

Ora vi racconto una storia. Una storia quasi del tutto vera, una di quelle storie del
Giambellino che non sempre hanno un alone di verità perchè spesso se lo sono
portati via quelli che con i loro smart phone fotografano l'attuale con le tinte di
ieri. Lo chiamano il vintage...mah...
La storia che voglio raccontare è la storia di uno che chiamerò Il ciclista. Avrai
capito che non è il suo vero nome, ma da un lato non lo ricordo e dall'altro ne
preservo il ricordo. Il ciclista non lavorava, ma dava una mano in un negozio di
ciclismo. Aiutava, tutto il giorno, dal mattino alla sera, senza saper fare niente.
Vestito sempre da ciclista. Fisico abbondante e maglietta attillata, pantaloncino
attillato (...da ciclista) e, unico vezzo, stivali militari.
La sua paga che poi non era uno stipendio, magliette e pantaloncini da ciclista,
regalati dal proprietario o dagli avventori del bar vicino, quelli che per una vita
o per quella vita erano gli unici amici.
Si vestiva da Fondriest, da Bugno, impazziva per Chiappucci e per un piccoletto
romagnolo. Ora questa storia è una storia vera, sopratutto sino a questo punto.
Una storia del Giambellino, di quelle condivise al massimo con via Tolstoj, vie dove
gli angoli diventano incroci e agli incroci si scontrano storie.
Il ciclista non era come gli altri. Aveva una sorella bellissima, bellissima per lui,
di cui era geloso e nessun altro al di fuori della sua bicicletta.
Sia chiaro, non da corsa, perchè non si sentiva degno di portarne una.
Il ciclista era mio amico, io lo salutavo e ne andavo anche fiero nel mio piccolo
non capire molto della realtà, sopratutto in queste storie vere.
Per scherzare, ogni giorno o quasi in cui lo incontravo, mi offriva della pasticche
che a lui servivano per stare bene. Mio padre mi spiegò che erano quelle per i
matti, ma in fondo io ho sempre pensato che lui stesse bene così. Forse per questo
pensavo fosse mio amico.
Il ciclista era matto, così diceva la gente normale, ma non era mai arrabbiato. Mi
diceva che il suo sogno era stare in quel negozio, nel cortile in cui io abitavo e
abito ancora a sistemare biciclette. Anche se non ne era capace.
I sogni per essere realizzati devono essere piccoli, altrimenti poi devi fare i conti
con ciò che non si realizza. I sogni si pagano caro, al netto. Il rischio di avere dell'
invenduto non si può correre. Il suo sogno era sistemare bici vestito da ciclista.
Era sereno, ma non felice. Pensava che la rigenerazione avvenisse con una continua
contaminazione tra i generi, ma non lui. Perchè lui era matto.
Scherzava su quelle pillole, che gli davano la felicità e lo deprimevano e scherzava
su quanto fosse sottile il confine tra un matto e un normale.
Storie, storie vere o forse meno. Come quelle del Giambellino, del Gamba de legn
e dei bar degli operai, della mala.
A volte scherzava sul suicidio, ma non poteva lasciare la sorella. Quella bella, che poi
bella non era, ma lo era per lui. Lui, il ciclista, che una donna non aveva mai avuto
e mai l'avrebbe avuta. Girava in lungo e in largo per la via fuori dall'orario di lavoro,
che poi lavoro era. Dava una mano a riparare le biciclette della gente normale.
Poi un giorno d'estate, uno di quei giorni che fa caldo e tutti sembrano un pò meno
normali, un piccoletto con una maglia da ciclista vinse una tappa strepitosa durante
una gara chiamata Giro d'Italia. Molti in Italia ne erano felici, ma lui lì rivide un
sogno realizzarsi. Non quello umile di sistemare biciclette ma quello di un suo idolo
maltrattato e malmenato, sfortunato e infelice, rialzarsi sui pedali e vincere da
campione. La vittoria dei malnati, quelli che son brutti a vedere. Non normali.
In quel momento raggiunse uno stato di grazia, girando per la via con la maglia di
quel piccolo ciclista romagnolo. Il momento più felice della sua vita.
Poi quella sera, quel pomeriggio o il giorno dopo, perchè questa è una storia vera, ma
di quelle storie del Giambellino dove la poesia e il romanzo si incontrano ai giardini,
quella sera o il giorno dopo, il piccolo romagnolo venne bloccato, eliminato, insultato.
Da idolo a nulla, dal momento massimo di gioia all'incubo.
Il ciclista una volta disse, parlando in uno degli sproloqui al bar della sua morte, che
 se ne sarebbe andato al momento massimo della sua gioia.
Alle battute di chi gli chiedeva se si sarebbe allontanato dalla vita in bici non aveva mai
risposto. Rispose coi fatti dopo quella squalifica.
Aveva raggiunto la sua felicità massima, correre con la maglia di quel piccolo
romagnolo lungo via Giambellino, come fosse in maglia rosa. Non sarebbe mai stato
più felice di così perchè si può sempre vincere, ma mai sarà come vincere quando tutti
ti hanno dato per perso non una, ma mille volte. Come quando tutti ti dicono che
loro sono normali.
Questa è una storia vera senza tempi corretti, con le stagioni che vanno e vengono e i
ricordi macchiati dal tempo. Il negozio da ciclista è sempre lì e io abito sempre lì.
Non ho pensato mai al ciclista in questi anni e non so perchè ne ho scritto ora.
Forse perchè Giambellino a volte tira fuori pensieri che credevi essere sepolti o
perchè stanotte camminando su quella strada ho avuto modo di ricordar.
Questa storia vera lascia la possibilità di non essere creduta, proprio perchè vera non
è mica detto che sia stata anche reale.

mercoledì, febbraio 29, 2012

Non basta aver problemi per scrivere qualcosa di interessante

Odio, mi odio, mio dio.
Mi da dannatamente fastidio il non scrivere subito le cose che penso, sopratutto a notte tarda.
Ho perso l'abitudine di farlo, una volta lo facevo sempre. Adesso non giro più con una penna,
non scrivo più su tutti i supporti possibili e immaginabili, dai biglietti del tram ai bordi del
giornale alle tovaglie dei bar.
Mi manca molto questo, perchè perdo la maggior parte dei miei pensieri e non è che ne abbia
molti in una giornata. Sopratutto buoni. E' la sottile linea che mi fa passare dall'essere uno
scrittore fallito a un cialtrone di successo.
La luce della sera devo dire che mi ispira molto. Sopratutto se fioca o spenta.
Il punto è che sarebbe una cosa che non mi costa nulla, a differenza dei conti che dovrei
pagare da un analista o da un dietologo esperto, evitando di confidarmi allo specchio.
Un mio amico una volta mi ha detto che due persone che si guardano negli occhi sono
assolutamente vicine, ma se si danno le spalle son distanti 924 375 700 km. Diversi anni di
distanza a piedi, meno in macchina. Punti di vista.
Mi odio, mio dio, odio.
Mi fa particolarmente piacere quando mi sveglio e ricordo le cose che la sera prima mi
sembravano geniali. Il problema è che al mattino dopo le trovo del tutto inutili. Forse è
per questo che si dice di cogliere l'attimo nelle situazioni. Poi si potrebbe aprire un dibattito
sul tempo e su cosa è la vita. Qualcosa di simile a un libro con il suo susseguirsi romantico o
romanzesco oppure un quadro cui basta un solo sguardo per capire tutto.
Io penso sia più simile a un libro. Il tempo serve proprio a questo, a dare una cadenza agli
attimi come i numeri sulle pagine di un libro.
Questo pensiero non ha senso con il testo, ma volevo far vedere qualcosa che nel momento
in cui lo stavo pensando mi sembrava geniale, anche se a conti fatti non lo è.
Un mio amico una volta ha letto di una ragazza che si prostituiva ma diceva di non farlo, che
non era vero negando l'evidenza. La sua motivazione era semplice e alquanto vera. Si faceva
pagare 50 euro, ma diceva espressamente di volerne 100, in modo da poter dare il resto di 50.
Dare e avere sproporzionato. Punti di vista.
Mio dio, odio, mi odio.
Mi fa fondamentalmente invidia chi riesce a ispirarsi guardando un tramonto, oppure chi si
sente un fotografo facendo belle foto con Instagram.
Al giorno d'oggi bastano un cappello alla Humphrey Bogart, la barba incolta e un cappotto
vintage per essere un artista. Oppure aver fatto il classico o sentirsi esperti di cinema per
pensare che nessuno sia in grado di vedere un film.
Sarà tutto vero, forse no, però a volte mi piace pensare di poter fissare i pensieri in qualche
modo. Forse sono solo i grandi che vanno in giro con la penna e la Moleskine, anche se
oggi è diventato più un vezzo da radical chic che l'agenda di Hemingway.
Un amico una volta mi ha parlato dei manicomi e di come fossero pieni di matti, lì dentro.
Io ho pensato che per quelli lì dentro forse era pieno di matti il Mondo, lì fuori.
Punti di vista.