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lunedì, agosto 16, 2010

Il Giudice

Abiti usati, dismessi e sopratutto poco impegnativi. Nessuna giacca, cravatta,
camicia o qualsiasi altra imposizione. La stanza ha ancora la polvere del
mese scorso accumulata e ben visibile tra le lame di luce che entran dalle
tapparelle dismesse e abbassate il martedì o il mercoledì passato.
Non uscirà oggi, neppure domani e non lo farà sinchè non farà pace con la
sua ombra, con l'immagine riflessa nello specchio, con Dio.
Il fottuto Dio che ha formato la sua morale e il suo buonsenso.
Giudicato di continuo, portato al giudizio comune, Giudice infine dell'atto
altrui. Distrutto sotto il peso di sentenza e comune opinione.
Non può essere la rabbia e nemmeno l'orgoglio, un cambiamento lento e
macchinoso, come il solco dell'acqua o il crescere di un bambino.
Per anni gli studi e il perbenismo, per decenni il buonsenso comune e la
coerenza di pensiero.
Non cambiare, non osare, non tentare, ma star sempre dalla parte del giudizio
collettivo, del potente di turno, dell'amor comune. Amore pudico e coperto.
E' stato lì, nell'ombra di qualcosa di sconosciuto che hai sentito odore di
libertà e di cambiamento.
Giudicare per non essere giudicato, per la paura di non esserlo.
Portando avanti una legge in cui non crede, ma imparata a memoria, come
l'attore di soap-opera impara la sua parte. La meccanica dell'oblio.
Il servo dello Stato serve allo Stato, ma cosa serve?
La solita minestra, a volte anche scaldata. Spesso raccontata male.
A testa bassa troppi anni, guardando le scarpe lustrate da poco, la piega
perfetta dei pantaloni a coste, la camicia in tinta con la giacca.
Il mondo sempre a colori come la televisione di Stato, quella che indica la
via, i valori, la cultura. Insegnante di recupero per menti svuotate.
A testa bassa nell'ascoltare le vicende, girato magari verso il senso comune
di verità spesso inchiodato al lato opposto della grande scritta "La legge è
uguale per tutti".
Non era un niente in un sistema oliato, niente arte ma solo l'essere di parte.
Aveva sentito parlare di altri giudici e magistrati folli, finiti male perchè
inseguivano la giustizia dal verso opposto, quello "giusto".
Saltati in aria all' altare della comune decenza cattolica e democratica.
Fu un giorno di follia, di pura follia, quello che lo portò ad alzare lo sguardo
per vedersi riflesso nello specchio.
Fu un semplice sguardo a portarlo a vedere cosa aveva dentro.
Fu allora che si giudicò come uomo, senza il filtro del pensiero comune.
Decise che la sua pena sarebbe stata la detenzione forzata in qualche
metro quadrato, qualcosa in più di quattro pareti.
Senza cambiarsi e lavarsi per non avere parametri di giudizio stranieri alle
proprie essenze, il Giudice si giudicò così com'era.
Provò un senso strano di perversione, nuovo e mai avuto prima, eccitandosi
per il giudizio insano che aveva di sè e odiando ciò che era stato sino ad allora.
Il perbenismo che era lui finì e cominciò la stagione della ragione, della
visione delle cose così com'erano. Capì anche che a saltare in aria non furono
i folli ma i "Giusti". Senza paura.
Capì tutto questo e si chiuse sempre più in se stesso aspettando di sbocciare
in qualcosa di migliore.

*dedicato alla memoria di chi ha lavorato guardando la Giustizia in faccia e non girandosi dall'altra parte.
Falcone, Borsellino, Ambrosoli, etc...

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