L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure

martedì, gennaio 24, 2012

Niente

Sparire senza dire niente.
Chissà quante volte e quanti di voi lo avranno pensato.
Poi c'è chi è più forte e lo fa veramente, sfruttando qualche strana scia o navi che affondano.
Sparire è un pò come diventare niente. La strana forma che dà un valore alla sostanza.
Ci sono cose simili al niente che vanno nel vento e a volte prendono forma sui muri.
Ora sarebbe bello avere un sottofondo, ma non sò suonare a mani nude su un tavolo.
Lo strano effetto eco di pensare a testa alta chiusi in una stanza molto grande, da soli.
Pensare a niente non è possibile, nemmeno quando cerchi di fare di tutto per farlo. Ti
concentri sul niente ma è proprio a quello che pensi.
Niente è bello, niente ha valore, niente ha merito.
Il niente prende forma così, prende valore così e diventa oggettivamente bello.
Niente è bello come non avere niente da fare, da pensare, da decifrare.
Si può sparire senza dire niente.
Chissà quante volte e quanti di voi lo avranno pensato.
Tornando indietro poi dai tornanti della fantasia per un amore reale, un animale da accudire,
le rate da pagare o un amico da aiutare.
Fanno fiamme nel passato e buttano acqua sul futuro. Parola strana "futuro", se associata a
niente. Ma non hanno valore messe insieme, futuro batte niente.
Anche se del futuro non te ne fai niente e non pensi a niente per il futuro.
Qui ci starebbe bene un assolo di chitarra ma non riesco a trovare il modo di suonare
una sedia se non tirandola contro il muro. Senza poi sapere dove sedermi.
Sul niente forse, ma in questo caso si vedono i limite del niente.
L'antimaterialità che lo rende bello e al tempo stesso inutile. Nel presente e nel futuro.
Ecco, forse la chiave è questa. Niente del presente sarà utile nel futuro, oppure il contrario
e quindi tutto tornerebbe.
Che poi forse adesso il fisico c'è per fare a meno di niente e sentirsi tutto.
Sparire nel niente, cosa impossibile e quasi irreale.
Ve lo sarete chiesti anche voi prima o poi, chissà quante volte.
Ora una chiusura di batteria, batto le mani, spengo la luce. Niente.

venerdì, gennaio 20, 2012

La cartolina di Natale arrivata l'estate dell'anno precedente

Appoggiato a tavolo cerco misteriosamente il modo più stabile per stare in piedi.
Fisso un punto lontano, anche se il punto più lontano è la finestra che è a 2 metri di
distanza. Non funziona. Allora fisso un libro sulla scaffale e mi ci concentro, penso a
chi l'ha scritto e a chi l'ha rilegato, a chi l'ha pubblicato e a chi l'ha venduto e allora
penso: "ma un libro di chi è? di chi lo compra, di chi l'ha scritto, di chi lo ha pubblicato 
o di chi l'ha rilegato?".
Un pensiero che mi porta a spasso per almeno 2 o tre minuti, il tempo giusto per
ritrovare la stabilità. Due piedi a terra, suola delle scarpe ampia ed abbondante. Ci sono.
Non sarà mica questo clima freddo a farmi dimenticare l'estate.
I compiti delle vacanze e il pensiero buono tenuto solo per Natale.
Sento il desiderio di una voce amica e provo con la radio, magari mettendo insieme i
pensieri altrui si riescono a tirare fuori emozioni prese per i capelli, che spostano passi
e si arriva al mare.
Il mare d'inverno, ecco dove devo andare. La favola post moderna che dona il nome
a una generazione e fa restare mistico un luogo comune. Il mare d'inverno.
Tra le cose lette trovo una bustina non letta, senza polvere, deve essere qui da poco.
Auguri di buon Natale e felice anno nuovo, senza date e senza riferimenti, come se
tutti gli anni si debba essere felici e come se tutti i giorni si debbano perdere dietro
l'ansia di provare ad esserlo. Felice anno nuovo, poche frasi hanno meno senso.
Forse solo "carico sporgente" o "compro oro, pago in contanti". Forse anche "si 
vendono libri nuovi e usati", come se un libro perda il suo valore se usato. Ma poi un
libro di chi è? Forse di chi lo compra. Anzi un libro è di chi lo legge e sa uscirne a testa
alta coi polmoni pieni d'aria. Come dopo un tuffo in cui vai sott'acqua e poi ne esci
in verticale. Testa su e culo in basso.
Felice anno nuovo dicevamo, come se quello andato sia stato per forza meno felice o
come se la felicità possa essere lunga 365 giorni.
Sarebbe una tortura, un continuo parlare di quanto si sta bene, senza potersi mai
lamentare, senza creatività, senza nevrosi. Un dolore costante al sacchetto degli zebedei.
Mi piacerebbe uscire fuori, ma fuori non c'è il mare. Anzi fuori non ci sono un mare
di cose, ma vorrei immergermi in una storia post moderna, con nevrosi e stati d'animo,
di quelle da cui esci in verticale come dopo un tuffo. Una storia con un mare, il mare
di inverno, come quando ci andavo a Natale. Come se sulla cartolina ci fosse scritto
Buon mare e felice inverno.
Ora musica elettronica, di quella che non mi piace affatto.

venerdì, gennaio 13, 2012

La clamorosa storia del post che alla fine lascerà tutto come sta

Non sono diventato famoso con un post. A dire il vero non lo sono diventato neppure con
un blog. La cosa mi pesa non dormo la notte.
Penso tanto e penso ancora come fare a fare soldi con il nero. Il non soluto, il non voluto.
Arsenio Lupin lo stimavo, nei cartoni animati intendo. Perchè il suo pregio non era solo quello
di mettere a segno colpi, ma anche di colpire i cuori e le menti.
La sua fama precedeva il suo talento, che a sua volta arrivava prima del suo sgarbo. In poche
parole per lui far del nero sarebbe stato come prendere ai ricchi per far del bene.
Non necessariamente ai poveri. Anzi...
Robin Hood in questo sbagliava. Il povero non deve aiutare il povero, ma almeno se stesso.
Forse è per questo che con i post non sono mai diventato famoso.
Però se tutto faceste una condivisione. Diventerei follemente pieno di soldi.
Avrei anche più amicizie su facebook e potrei permettermi un nuovo accappatoio.
Dopo la doccia l'accapatoio nuovo potrebbe darmi una sensazione strana. Come mettere una pelle diversa. Forse meglio prima comprarlo e poi abituarmi alla sensazione. Ci vuole tempo.
Ci vogliono anche i soldi per prenderlo. Condividi.
Penso che non diventerò mai famoso per un post e penso anche per un post potrei comunque diventare non famoso. Cioè meno di come sono adesso è difficile.
Ma fare uno strafalcione o sbagliare un congiuntivo. Mi ammazzerebbe. Però nessuno si complimenta mai se scrivi correttamente. Complimenti, bravo, grazie, prego.
Cordialità. Nessuno si rende mai cordiale nel bene comune della normalità.
Per cui per un post non diventi famoso, ma puoi essere deriso, irriso, mutilato, picchiato.
Ma anche no. Cioè mi sembrerebbe esagerato.
Oggi come oggi funziona così, le esagerazioni sono all'ordine del giorno, la frustrazione
sale nel non apparire e nell'apparire cresce la vanità e a volte inizio frasi che non
vogliono dire niente.
Ma scrivo tanto per scrivere. Passa il tempo nel fare un post. Un post che poi non ti farà diventare famoso, a meno che non lo condividiate.
Insomma 5 minuti passano in fretta. In 5 minuti si fanno molte cose. Scrivere, parlare, dire, amoreggiare, mangiare, bere, fumare...bene, è finito il tempo.
Fammi diventare famoso, almeno non picchiarmi.
I prossimi 5 minuti penserò a come si mandavano le mail quando non esisteva internet.

sabato, gennaio 07, 2012

Si è disoccupati anche facendo il lavoro sbagliato

Le gambe del tavolo potrebbero anche spezzarsi sotto il peso delle parole che vengono da lontano e vanno a schiantarsi sul soffitto.
L'alito che puzza di alcol, si sa, è leggero e vola alto. Sopra le teste, sopra le tentazioni, passando a fianco dei cattivi pensieri. C'erano posti che quelle teste potevano vedere, c'erano case anche sugli alberi. Lo dicevano scrittori avvinazzati e bambini sporchi di zucchero a velo.
Però forse un'altra birra me la prendo.
La sedia scricchiola e sembra il motore di un vecchio Ciao, di quelli che andavano a miscela anche se nessuno sapeva cosa fosse quella miscela. Una parola che nasconde magia e poesia, unire mischiare amalgamare. La sola cosa che non può fare è rendersi univoca e prescindibile.
La miscela del motorino, la miscela che bevi per schiarire i pensieri, la miscela che aiuta a mettere insieme le parole, la miscela che crea una parola da stupide lettere.
Il tavolo regge sulle quattro instabili gambe. Ma cosa si potrebbe dire e sopratutto chi siamo noi per dire qualcosa. Meglio forse il silenzio, sopratutto se meditato e attento.
Però il silenzio non ha portato mai a niente, come ama ripetere il vecchio partigiano che seduto nell'angolo si fa sempre i cazzi di tutti.
Allora si torna a far girar la mente, senza cattiveria. Solo idee che siano buone, che siano sane, che siano folli. Forse per questo mai realizzate. Il miglior modo per restare giovani è farsi venire in mente cose che poi non si faranno mai. Nemmeno il giorno dopo.
Ma che restano lì, sul comodino per chi lo possiede o nel cassetto per chi semplicemente ha un armadio. Io non ho armadio e non ho comodino.
Però mi viene facile bere e mentre bevo pensare che ci siano ancora tante cose da poter fare.
Come riparare il tavolo oppure come dare a tutte quelle idee, che col loro peso stanno rompendo le gambe al povero tavolo, una casa o un luogo dove stare.
Magari più grande di un cassetto e più stabile di un comodino.
Si è fatto tardi ed è forse giunta loro di chiudere. Nell'alzarmi un attimo di timore e di blocco. Forse la paura di aver perso ancora tempo o la sensazione di avere ancora tempo da riempire. L'idea di non diventare mai più un uomo migliore ormai è salita in alto attaccata all'alito alcolico come si legano le letterine ad un palloncino per farle arrivare lontano, però resta ferma quella che qualcosa si possa fare magari partendo da una sedia di legno e un'educazione cattolica, senza dei e santi in Paradiso.

lunedì, gennaio 02, 2012

I canditi gialli nel panettone avanzato sono allucinogeni

Eran tempi diversi quelli in cui la batteria non aveva suono e l'umidità stava di casa in un altro
paese o perlomeno lontano delle mie ossa.
Lento era il movimento dei giorni, ma pur sempre attivo e senza pause.
Si scandivamo i momenti dando un senso. L'esame, il compito in classe, il ritorno dell'andata.
Nulla si confondeva in altro e se proprio si trovavano tinte uguali, eran sempre molto forti.
Non c'erano sigle, suonerie e piattoforme sociali, ma tutto si svolgeva in totale fantasia o
tramite il telefono fisso. Senza messaggi e messaggeri, senza foto e fotografi.
Avevamo occhi attenti, sguardi fermi e menti avanzanti. Poco altro, niente pregi.
Qualcuno era dotato di ironia, altri erano intelligenti. Tutte doti che non sono mai servite a
nulla, se non per far volare gli aquiloni e prendere gli uccelli in volo per farli cadere a
terra e diventare preda dei fantasmi. Gli uccelli non mi sono mai piaciuti.
Il volo era per pochi, per quelli che non sapevano usare gli acquiloni e allora ci si trovava tutti
a correre per la strada, tra sassi, fossi e grossi prati. Prati verdi e altri fatti di cemento, senza
paura per le ginocchia sbucciate o le scarpe consumate.
Anche i palloni non restavano indifferenti al cemento, rovinandosi e riducendo la propria vita.
Vero sacrificio al divertimento.
Persi nel tempo e nella fantasia, quando la masturbazione era il pensiero della mamma di un
nostro amico e non il video scarno di una sconosciuta di un altro luogo, di un'altra lingua.
"Mi piace" lo si diceva per cose serie e non per commentare l'approvazione alle idee di  
chissachi o alla foto di un vecchio conoscente.
Era un tempo in cui dagli auricolari usciva una musica diversa e le promesse avevano un senso, quando pensavi che tutto avesse una forma diversa se visto da un altro punto di vista.
Certo gli abiti facevano il monaco e il bianco e il nero non potevano stare nella stessa foto, ma distinti in immagini e odori differenti. Niente di totale, tutto di parziale.
Sono periodi differenti con battute in quattro quarti e schermi sedici noni, visioni periferiche e l'umidità che ora entra nelle ossa, rompe gli schemi ed appiattisce i pochi capelli rimasti.