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martedì, luglio 26, 2011

Quando calcio fa rima con ...

Ho sempre creduto che il calcio, quello vero, si facesse nelle serie minori e
sopratutto in campi brutti e dissestati. Guardando con un aria di distacco
quei marziani che corrono a mille all'ora e guadagnano cifre pazzesche.
Distacco e molta invidia. Tanta, troppa.
Ormai, arrivato a trent'anni, posso dire di aver trascorso tantissimo tempo
in spogliatoi di calcio ad inseguire quelle emozioni e qui sapori che solo il
calcio ti sa dare. Con bagnoschiuma a metà e acqua bollente sulla schiena.
Chiacchiere, risate e anche silenzi lunghissimi.
Allacciando scarpe minuscole e ascoltando parlare di cartoni animati.
Tensione per una partita importante, sguardi preoccupati per la sfuriata
del mister ma sopratutto risate per le cose che aveva appena detto o
semplicemente stare bene per la puzza di erba della mia tuta, per quella
sensazione di far parte di un gruppo. Per essere lì.
Non ho mai saltato un allenamento perchè avessi di meglio da fare, non
c'è nulla "di meglio".
Il calcio che dico io, quello che ho sempre insegnato ai bambini quando
allenavo, è fatto da personaggi che non scorderai mai nemmeno dopo anni
e anni. E' fatto di trasferte improbabili in posti impronunciabili, province
di "sa il cazzo dove" e ritardi.
E' fatto di goal sbagliati e momenti unici.
Il tuo primo goal, quello fatto da un compagno, una vittoria, un campionato.
Quelle volte che in tribuna c'era tuo nonno.
Fatto sopratutto da persone. Gente che per niente allena un branco di
ragazzini brufolosi, pulisce spogliatoi e lava magliette e pettorine sudate.
Prova a insegnare dettami tattici che nemmeno lui ha ben chiari, ti fa
muovere in allenamento come negli anni '60, con esercizi vecchi inutili e
anche un pò sadici. Grida frasi sconnesse.
Massima soddisfazione per un the caldo senza gusto e una doccia bollente.
Ricordo di schiaffi presi per niente o per colpa di altri compagni, riunioni
tecnico/tattiche con il vice allenatore ubriaco che straparlava, trasferte in
provincia di Varese terminate al casello con la Svizzera.
Tutto questo fatto per inseguire un sogno, ma sopratutto tanti sacrifici fatti
per far divertire dei bambinetti prima e dei ragazzini poi.
Per me il calcio, quello vero, è fatto di questo.
Me l'ha confermato il vagabondare per i campi più o meno verdi degli
ultimi campionati della Lombardia.
Il ricordo di un dopo partita amaro, le botte prese dopo una storica vittoria,
le promozioni e le retrocessioni, tutto concorre a riportare il calcio in una
dimensione aulica, un pò storica.
Personalmente storica.
Sarà per questo che ho sempre preso ad esempio allenatori validi e poco
probabili e i loro vice, ancora meno sagaci ma molto umani e vicini a noi
ragazzi. Dei secondi padri, sempre pronti a dar bastonate ma anche qualche
carota.
Era questo ed è questo il mio calcio, fatto di piccole cose e da grandi Maestri.
Sarà per questo o per un senso di comune dispiacere che appena ho saputo
della scomparsa di Mastro ho ripensato ai miei 17 anni e quanto in fondo
mi avesse dato, senza saperlo.
Prometto qui e ora, che la prossima partita in cui andrò in trasferta mi
perderò per almeno due volte sbagliando strada pur conoscendola, in tuo onore.

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