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lunedì, marzo 05, 2012

Il ciclista lasciò al top

Ora vi racconto una storia. Una storia quasi del tutto vera, una di quelle storie del
Giambellino che non sempre hanno un alone di verità perchè spesso se lo sono
portati via quelli che con i loro smart phone fotografano l'attuale con le tinte di
ieri. Lo chiamano il vintage...mah...
La storia che voglio raccontare è la storia di uno che chiamerò Il ciclista. Avrai
capito che non è il suo vero nome, ma da un lato non lo ricordo e dall'altro ne
preservo il ricordo. Il ciclista non lavorava, ma dava una mano in un negozio di
ciclismo. Aiutava, tutto il giorno, dal mattino alla sera, senza saper fare niente.
Vestito sempre da ciclista. Fisico abbondante e maglietta attillata, pantaloncino
attillato (...da ciclista) e, unico vezzo, stivali militari.
La sua paga che poi non era uno stipendio, magliette e pantaloncini da ciclista,
regalati dal proprietario o dagli avventori del bar vicino, quelli che per una vita
o per quella vita erano gli unici amici.
Si vestiva da Fondriest, da Bugno, impazziva per Chiappucci e per un piccoletto
romagnolo. Ora questa storia è una storia vera, sopratutto sino a questo punto.
Una storia del Giambellino, di quelle condivise al massimo con via Tolstoj, vie dove
gli angoli diventano incroci e agli incroci si scontrano storie.
Il ciclista non era come gli altri. Aveva una sorella bellissima, bellissima per lui,
di cui era geloso e nessun altro al di fuori della sua bicicletta.
Sia chiaro, non da corsa, perchè non si sentiva degno di portarne una.
Il ciclista era mio amico, io lo salutavo e ne andavo anche fiero nel mio piccolo
non capire molto della realtà, sopratutto in queste storie vere.
Per scherzare, ogni giorno o quasi in cui lo incontravo, mi offriva della pasticche
che a lui servivano per stare bene. Mio padre mi spiegò che erano quelle per i
matti, ma in fondo io ho sempre pensato che lui stesse bene così. Forse per questo
pensavo fosse mio amico.
Il ciclista era matto, così diceva la gente normale, ma non era mai arrabbiato. Mi
diceva che il suo sogno era stare in quel negozio, nel cortile in cui io abitavo e
abito ancora a sistemare biciclette. Anche se non ne era capace.
I sogni per essere realizzati devono essere piccoli, altrimenti poi devi fare i conti
con ciò che non si realizza. I sogni si pagano caro, al netto. Il rischio di avere dell'
invenduto non si può correre. Il suo sogno era sistemare bici vestito da ciclista.
Era sereno, ma non felice. Pensava che la rigenerazione avvenisse con una continua
contaminazione tra i generi, ma non lui. Perchè lui era matto.
Scherzava su quelle pillole, che gli davano la felicità e lo deprimevano e scherzava
su quanto fosse sottile il confine tra un matto e un normale.
Storie, storie vere o forse meno. Come quelle del Giambellino, del Gamba de legn
e dei bar degli operai, della mala.
A volte scherzava sul suicidio, ma non poteva lasciare la sorella. Quella bella, che poi
bella non era, ma lo era per lui. Lui, il ciclista, che una donna non aveva mai avuto
e mai l'avrebbe avuta. Girava in lungo e in largo per la via fuori dall'orario di lavoro,
che poi lavoro era. Dava una mano a riparare le biciclette della gente normale.
Poi un giorno d'estate, uno di quei giorni che fa caldo e tutti sembrano un pò meno
normali, un piccoletto con una maglia da ciclista vinse una tappa strepitosa durante
una gara chiamata Giro d'Italia. Molti in Italia ne erano felici, ma lui lì rivide un
sogno realizzarsi. Non quello umile di sistemare biciclette ma quello di un suo idolo
maltrattato e malmenato, sfortunato e infelice, rialzarsi sui pedali e vincere da
campione. La vittoria dei malnati, quelli che son brutti a vedere. Non normali.
In quel momento raggiunse uno stato di grazia, girando per la via con la maglia di
quel piccolo ciclista romagnolo. Il momento più felice della sua vita.
Poi quella sera, quel pomeriggio o il giorno dopo, perchè questa è una storia vera, ma
di quelle storie del Giambellino dove la poesia e il romanzo si incontrano ai giardini,
quella sera o il giorno dopo, il piccolo romagnolo venne bloccato, eliminato, insultato.
Da idolo a nulla, dal momento massimo di gioia all'incubo.
Il ciclista una volta disse, parlando in uno degli sproloqui al bar della sua morte, che
 se ne sarebbe andato al momento massimo della sua gioia.
Alle battute di chi gli chiedeva se si sarebbe allontanato dalla vita in bici non aveva mai
risposto. Rispose coi fatti dopo quella squalifica.
Aveva raggiunto la sua felicità massima, correre con la maglia di quel piccolo
romagnolo lungo via Giambellino, come fosse in maglia rosa. Non sarebbe mai stato
più felice di così perchè si può sempre vincere, ma mai sarà come vincere quando tutti
ti hanno dato per perso non una, ma mille volte. Come quando tutti ti dicono che
loro sono normali.
Questa è una storia vera senza tempi corretti, con le stagioni che vanno e vengono e i
ricordi macchiati dal tempo. Il negozio da ciclista è sempre lì e io abito sempre lì.
Non ho pensato mai al ciclista in questi anni e non so perchè ne ho scritto ora.
Forse perchè Giambellino a volte tira fuori pensieri che credevi essere sepolti o
perchè stanotte camminando su quella strada ho avuto modo di ricordar.
Questa storia vera lascia la possibilità di non essere creduta, proprio perchè vera non
è mica detto che sia stata anche reale.

2 commenti:

Malla ha detto...

Quante persone vere in queste righe...magari non reali, ma senz'altro vive.

Bella.

krepa ha detto...

già e sempre meglio di
"magari reali ma non vere"