L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure

lunedì, agosto 23, 2010

Incontri casuali cui ho fatto caso incontrandoli

Era l'estate del 2004, tornavo dalla Calabria solo, avevo lasciato i miei amici
su un treno diretto a Milano. Io sarei andato nelle Marche di lì a qualche ora,
facendo una tappa forzata alla Stazione Termini. Roma. La capitale di uno
Stato fantasma, dell'Italia palazzinara e di partito, del Paese in cui tutto è
concesso basta conoscere quelli "giusti", la Roma "città eterna", bella anche
quando dorme. Lì ho conosciuto A. fermo su una panchina di marmo. Sguardo
fisso, solo, perso. Avrà avuto dieci anni più di me e cento esperienze davanti
a lui che io non riuscivo a vedere. Ma zero speranze.
Parlava stanco del padre padrone, del sistema militare in casa, della fuga
da quel paesino e della fame che riesce a darti una città in cui sei solo.
Dove non sei niente. Io che mi sentivo vagabondo per un viaggio solitario,
un amante perfetto senza la pratica del letto.
Bevemmo birra sino alle 4 del mattino, poi mi lasciò lì solo, per andare ad
iniziare il suo giro quotidiano. Moneta per pane, uguale fame.
Non avevo libri con me e lessì tutto d'un fiato la sua storia. Senza fiatare.
Come quella volta a diciasett'anni. Estate '99, prima di andarmene in giro
per il mondo, ultima del millennio vecchio. Insomma ero dannatamente
giovane. Avevo preso una bicicletta dalla spiaggia, a chi non lo so.
Mi diressi con gli amici a vedere i fuochi artificiali, ma nel marasma, non so
come, li ho persi. Tutti. Che fare? Giro a caso, per vedere se trovo qualcuno.
Da una panchina mi chiama I. avrà trent'anni, ma alla mia età sembrava
già vecchia. Mi parla, mi chiede un sorso di birra, gliela porgo.
Fa la puttana, si sente morta, ha pochi denti e sorride lo stesso. La ascolto,
non so che dire e mi fa un pò paura. Io non so che dire, perchè mi parla?
Mi racconta tutto di lei, del perchè è in Italia e piange vedendo i fuochi.
Gli ricordano le bombe da cui è scappata, la Sarajevo di Milosevic, la
città del rinascimento slavo.
La ascolto tra il rumore di un fuoco e un altro, tra gli spari delle bombe
e un bambino che grida dalla sorpresa.
La ascolto e mi sento in un romanzo, senza poter mettere un punto e andare
a capo. Così riprendo la mia bicicletta rubata e torno sui miei passi sino
a dove l'ho trovato, all'indice del libro per dimenticare tutto.
Ma sin da bambino son cresciuto in mezzo alla strada, nel senso dei giardini
pubblici, del pallone, della panchina e la merenda a metà pomeriggio.
Il re del giardino era S. un barbone sui 70, dolce come il miele sinchè l'alcol
non prendeva possesso della sua mente, liberando il dolore che aveva dentro.
Figlio di una famiglia ricca, corso, lasciò tutto perchè tutto gli faceva schifo.
Era l'amico dei cani, ma solo di quelli che parlavano con Lui e dei bambini,
soprattutto di quelli che non parlavano. Per questo eravamo amici e quando
in casa mia madre cucinava qualcosa di buono volevo che un pezzo fosse per
lui. Non so che fine abbia fatto, questa città cancella le anime con la stessa
facilità con cui puoi strappare le pagine di un libro. Non rispettava nulla,
la morale, il nudo, Dio e la perfezione. Solo i più piccoli e i cani.
Non so quanti libri mi abbia raccontato S. con la sua vita, le sue manie e
perversioni. Un Buckowsky del Giambellino.
Non so nemmeno quante pagine non ho letto della gente che ho incontrato,
quanti indici indisposti o parole gettate al vento.
Con quante parole mi sono fatto libri e quanti racconti non mi han destato
nulla. Però da tutti gli S. gli N. le G. che ho incontrato ho cercato di farne un
riassunto e trarne storie per la mia storia personale.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

bello bello bello

g.

krepa ha detto...

grazie grazie grazie...
io o il post?

s.