L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure

martedì, agosto 31, 2010

La moda del lento fatica a passare

Non ho mai avuto idee geniali, nè sul lavoro nè nella vita personale.
Non ho mai avuto descrizioni banali, nemmeno nello scrivere una
cartolina, uguale da un lato e diversa dall'altro. Dio solo sa quante
cartoline ho scritto...
"ciao nonna saluti da Paros" "ciao mamma saluti da Paros"
Scritte tutte rigorosamente da ubriaco, con calligrafia storta.
Adesso crocifiggetemi per queste cartoline, ma siete solo degli stolti.
Avere zero inventiva nella tecnica quotidiana del vivere mi riempie
di comune orgoglio. Cosa mai mi può importare di come si sta seduti o
di cosa dire al cassiere. Io parlo come voglio e mi siedo con le mie pose.
Atteggiamenti dell'attimo, quello ultimo, prima del cambiamento.
Non ho mai avuto intuizioni geniali, nè in fila in posta nè nelle mail
impegnate o nei discorsi articolati.
Non ho mai avuto pensieri banali, nemmeno nel passeggiare tra un reparto
e l'altro di quei templi pagani chiamati supermercati.
Mi atteggio, finto scazzato, tra un reparto e l'altro pensando a come
accompagnare la bottiglia di vino appena presa. La birra non la accompagno
a niente, è lei a portarmi a spasso.
Carne o pesce? Meglio la classica carne in scatola, così non devo lavare
i piatti. Anche se spesso li sporco appositamente per poterli lavare.
Dio solo sa quanto mi rilassa lavare i piatti...
Non ho mai pensato a progetti geniali, nè fissando un pc nè l'arredamento
di casa mia.
Non ho mai immaginato mondi banali, nemmeno parlando con noiose
persone al bancone di un bar o all'angolo della mia strada di casa.
Ascolto tutto, spesso senza interesse facendo domande attinenti con faccia
pensante. Cosa mai avrò da condividere con tutti.
Intanto li immagino in altre situazioni, li vedo in strane posizioni, li metto
a capo di strani concetti o di gruppi di indiani senza cavallo.
Vestiti e capelli modificati secondo la moda appena passata.
Cosa può importarmi di tutto ciò che mi circonda se è privo di poesia,
credo niente o perlomeno non più di autobus che oltrepassa un incrocio
o un treno fermo sulla banchina.
Dio solo sa quanto mi incuriosisca l'andare e il venire di persone in una
stazione...
Penso a quanti andranno incontro al loro amore, quanti al lavoro che non
vogliono fare e quanti invece non stanno andando da nessuna parte
per il semplice fatto che hanno sogni.
Non ho mai generato emozioni speciali, nè parlando con una ragazza nè
ubriacandomi con un ragazzo.
Non ho rilasciato banalità dopo un incontro, fosse anche per uno sguardo
o per un silenzio voluto.
Penso che si possa dire molto anche senza parlare, senza dire nulla di
importante. Sono anzi convinto che a volte si possa essere molto più
comunicativi dicendo sempre idiozie e poche volte stando seri, centellinando
la propria saggezza su grosse sorsate di follia.
Ti daranno del buffone, del pagliaccio, aumentando il tuo ego perchè in fondo
è ciò che vuoi, dimostrando quando serve ciò che si è.
Perchè non serve sempre dimostrare. Dio solo sa quanto mi piace essere e
non apparire ciò che sono...
Sarà per questo e per tutto il suo contrario, forse per il fatto che pensare fa
male o per tutta un'altra serie di cose. Sarà per il gusto del marcio o il gusto
di un bacio. Sarà anche per il fatto che io considero l'abbraccio la più bella
dimostrazione di affetto e non mi interessano le pacche sulle spalle.
Forse è anche vero che sono solo un folle illuso visionario e che mi annoiano
i discorsi seri in cui sono protagonista. Sarà che penso di buttarmi via e c'è
chi dice dovrei scrivere davvero e non per finta. Ma forse io non so cosa sia
vero e cosa finto.
Penso che sia geniale avere trent'anni e non sapere tante cose perchè mi
lascia il tempo e lo spazio per pensare. E continuare a farlo.

giovedì, agosto 26, 2010

Revival

Era revival.
La musica degli anni '70, tutti belli frikkettoni sulla spiaggia con un fuoco, la
chitarra e la bella da baciare, nessun pensiero nessur rancore.
Rai 1 al televisore, il disco che gira, qualche sparo alla finestra.
"Papà posso avere ciò che voglio e sognare ciò che posso guardando fuori
dalla stessa finestra?".
La Vespa o la Lambretta, la vacanza a Rimini in attesa di tornare nella mia
Milano da bere, quella che dieci anni dopo avrebbe aperto le gambe come
una puttana da bordello.
Cartoline dalla Romagna in salsa rivirasca.
I cantautori, Battisti e DeAndrè, Guccini e la poesia, Ginsburg e
Ferlinghetti e come siamo belli, magri e avveneristici coi nostri capelli
lunghi e quei libri che traduce la Pivano. Come si chiama quello che sono
sulla strada? "Oh the road" mi pare, e allora andiamo.
La musica degli anni '70, i pantaloni a zampa, quanto cazzo eran belli gli anni
'60, le prime droghe di tutti e tutto per tutti.
Fottiti Stato, evviva l'Anarchia, votiamo lo statalismo e abbasso il liberismo.
Poi se in futuro vincerà il capitalismo sarò abbastanza ricco da fare a meno
del mio credo comunista. E' tutto un revival.
Il rosso mi dona, ma dipende dalle stagioni.
Marce in strada ricchi di colori, i cori contro tutti e lo slang per tutti.
A braccetto con Berlinguer, Pertini o Pajetta, chi era stato Partigiano a
guidare da una parte e in fondo tutto era già parte dello stesso teatrino.
Orchestrato da altri, che stavano dietro.
Nessuna base per i nostri futuri, solo dello sperma pronto ad essere
utilizzato e forse anche male.
La musica degli anni '70, le canzoni, erano altri tempi che non ci sono più.
Ti hanno mai parlato di Prima Linea?
Hai mai visto niente delle Brigate Rosse? Erano gruppi musicali, rock e
psichedelici, facevano una musica che non si ascolta più e i loro live
eran micidiali. Purtroppo.
Nascondi tutto, di tutto un fascio. Mettiamo bombe a suon di musica e sarà
impossibile vedere la mano. La mano di Stato e la mano colpevole.
Spesso è la stessa. Silenzio è un revival.
Di tutto un fascio e sfascia tutto, poco importa se muore un innocente e
resta il dubbio per cent'anni se è il caso oppure ci stanno prendendo
per il culo. Importante però essere fantasiosi e parlare di amore e famiglia,
mai di sesso e piacere. La Chiesa vede. E provvede.
Perchè è e sarà per tutti un revival.
Mentre ballavano e cantavano intorno a un fuoco, qualcuno moriva per
le strade e forse non eran tutte rose e amori.
Da certa merda è vero che nascono i fiori, ma da altra merda è nato l'odio e
la P2, è cresciuta la Mafia e ora balliamo per un posto in televisione.
E' un revival, un souvenir di ciò che era.
Cartolina dalla Romagna, sa un pò di piadina ma è originale.
La musica degli anni '70 mi ricorda un fottuto revival.

lunedì, agosto 23, 2010

Incontri casuali cui ho fatto caso incontrandoli

Era l'estate del 2004, tornavo dalla Calabria solo, avevo lasciato i miei amici
su un treno diretto a Milano. Io sarei andato nelle Marche di lì a qualche ora,
facendo una tappa forzata alla Stazione Termini. Roma. La capitale di uno
Stato fantasma, dell'Italia palazzinara e di partito, del Paese in cui tutto è
concesso basta conoscere quelli "giusti", la Roma "città eterna", bella anche
quando dorme. Lì ho conosciuto A. fermo su una panchina di marmo. Sguardo
fisso, solo, perso. Avrà avuto dieci anni più di me e cento esperienze davanti
a lui che io non riuscivo a vedere. Ma zero speranze.
Parlava stanco del padre padrone, del sistema militare in casa, della fuga
da quel paesino e della fame che riesce a darti una città in cui sei solo.
Dove non sei niente. Io che mi sentivo vagabondo per un viaggio solitario,
un amante perfetto senza la pratica del letto.
Bevemmo birra sino alle 4 del mattino, poi mi lasciò lì solo, per andare ad
iniziare il suo giro quotidiano. Moneta per pane, uguale fame.
Non avevo libri con me e lessì tutto d'un fiato la sua storia. Senza fiatare.
Come quella volta a diciasett'anni. Estate '99, prima di andarmene in giro
per il mondo, ultima del millennio vecchio. Insomma ero dannatamente
giovane. Avevo preso una bicicletta dalla spiaggia, a chi non lo so.
Mi diressi con gli amici a vedere i fuochi artificiali, ma nel marasma, non so
come, li ho persi. Tutti. Che fare? Giro a caso, per vedere se trovo qualcuno.
Da una panchina mi chiama I. avrà trent'anni, ma alla mia età sembrava
già vecchia. Mi parla, mi chiede un sorso di birra, gliela porgo.
Fa la puttana, si sente morta, ha pochi denti e sorride lo stesso. La ascolto,
non so che dire e mi fa un pò paura. Io non so che dire, perchè mi parla?
Mi racconta tutto di lei, del perchè è in Italia e piange vedendo i fuochi.
Gli ricordano le bombe da cui è scappata, la Sarajevo di Milosevic, la
città del rinascimento slavo.
La ascolto tra il rumore di un fuoco e un altro, tra gli spari delle bombe
e un bambino che grida dalla sorpresa.
La ascolto e mi sento in un romanzo, senza poter mettere un punto e andare
a capo. Così riprendo la mia bicicletta rubata e torno sui miei passi sino
a dove l'ho trovato, all'indice del libro per dimenticare tutto.
Ma sin da bambino son cresciuto in mezzo alla strada, nel senso dei giardini
pubblici, del pallone, della panchina e la merenda a metà pomeriggio.
Il re del giardino era S. un barbone sui 70, dolce come il miele sinchè l'alcol
non prendeva possesso della sua mente, liberando il dolore che aveva dentro.
Figlio di una famiglia ricca, corso, lasciò tutto perchè tutto gli faceva schifo.
Era l'amico dei cani, ma solo di quelli che parlavano con Lui e dei bambini,
soprattutto di quelli che non parlavano. Per questo eravamo amici e quando
in casa mia madre cucinava qualcosa di buono volevo che un pezzo fosse per
lui. Non so che fine abbia fatto, questa città cancella le anime con la stessa
facilità con cui puoi strappare le pagine di un libro. Non rispettava nulla,
la morale, il nudo, Dio e la perfezione. Solo i più piccoli e i cani.
Non so quanti libri mi abbia raccontato S. con la sua vita, le sue manie e
perversioni. Un Buckowsky del Giambellino.
Non so nemmeno quante pagine non ho letto della gente che ho incontrato,
quanti indici indisposti o parole gettate al vento.
Con quante parole mi sono fatto libri e quanti racconti non mi han destato
nulla. Però da tutti gli S. gli N. le G. che ho incontrato ho cercato di farne un
riassunto e trarne storie per la mia storia personale.

lunedì, agosto 16, 2010

Il Giudice

Abiti usati, dismessi e sopratutto poco impegnativi. Nessuna giacca, cravatta,
camicia o qualsiasi altra imposizione. La stanza ha ancora la polvere del
mese scorso accumulata e ben visibile tra le lame di luce che entran dalle
tapparelle dismesse e abbassate il martedì o il mercoledì passato.
Non uscirà oggi, neppure domani e non lo farà sinchè non farà pace con la
sua ombra, con l'immagine riflessa nello specchio, con Dio.
Il fottuto Dio che ha formato la sua morale e il suo buonsenso.
Giudicato di continuo, portato al giudizio comune, Giudice infine dell'atto
altrui. Distrutto sotto il peso di sentenza e comune opinione.
Non può essere la rabbia e nemmeno l'orgoglio, un cambiamento lento e
macchinoso, come il solco dell'acqua o il crescere di un bambino.
Per anni gli studi e il perbenismo, per decenni il buonsenso comune e la
coerenza di pensiero.
Non cambiare, non osare, non tentare, ma star sempre dalla parte del giudizio
collettivo, del potente di turno, dell'amor comune. Amore pudico e coperto.
E' stato lì, nell'ombra di qualcosa di sconosciuto che hai sentito odore di
libertà e di cambiamento.
Giudicare per non essere giudicato, per la paura di non esserlo.
Portando avanti una legge in cui non crede, ma imparata a memoria, come
l'attore di soap-opera impara la sua parte. La meccanica dell'oblio.
Il servo dello Stato serve allo Stato, ma cosa serve?
La solita minestra, a volte anche scaldata. Spesso raccontata male.
A testa bassa troppi anni, guardando le scarpe lustrate da poco, la piega
perfetta dei pantaloni a coste, la camicia in tinta con la giacca.
Il mondo sempre a colori come la televisione di Stato, quella che indica la
via, i valori, la cultura. Insegnante di recupero per menti svuotate.
A testa bassa nell'ascoltare le vicende, girato magari verso il senso comune
di verità spesso inchiodato al lato opposto della grande scritta "La legge è
uguale per tutti".
Non era un niente in un sistema oliato, niente arte ma solo l'essere di parte.
Aveva sentito parlare di altri giudici e magistrati folli, finiti male perchè
inseguivano la giustizia dal verso opposto, quello "giusto".
Saltati in aria all' altare della comune decenza cattolica e democratica.
Fu un giorno di follia, di pura follia, quello che lo portò ad alzare lo sguardo
per vedersi riflesso nello specchio.
Fu un semplice sguardo a portarlo a vedere cosa aveva dentro.
Fu allora che si giudicò come uomo, senza il filtro del pensiero comune.
Decise che la sua pena sarebbe stata la detenzione forzata in qualche
metro quadrato, qualcosa in più di quattro pareti.
Senza cambiarsi e lavarsi per non avere parametri di giudizio stranieri alle
proprie essenze, il Giudice si giudicò così com'era.
Provò un senso strano di perversione, nuovo e mai avuto prima, eccitandosi
per il giudizio insano che aveva di sè e odiando ciò che era stato sino ad allora.
Il perbenismo che era lui finì e cominciò la stagione della ragione, della
visione delle cose così com'erano. Capì anche che a saltare in aria non furono
i folli ma i "Giusti". Senza paura.
Capì tutto questo e si chiuse sempre più in se stesso aspettando di sbocciare
in qualcosa di migliore.

*dedicato alla memoria di chi ha lavorato guardando la Giustizia in faccia e non girandosi dall'altra parte.
Falcone, Borsellino, Ambrosoli, etc...

martedì, agosto 10, 2010

Ti ho mai detto?

Vi ho mai detto di quanto a volte mi dimentichi di dire e fare cose?
Addirittura mi perdo i pezzi e non riesco mai a fare una cosa bene. Sarà per
questo che fino a un certo punto sembro perfetto e poi mi manifesto per ciò
che sono, inconcludente.
"Gioca bene, ma non fa goal" direbbero alla Domenica Sportiva, oppure
"Si impegna, ma non riesce a proprio a capire" diceva la mia maestra.
Già la mia maestra. Sono sicuro di non aver mai detto che all'asilo mi
innamorai per qualche giorno della mia maestra più giovane, che poi se ne
andò e diedi la colpa a mia madre, pensando fosse una strega.
Chissà perchè.
Ho scritto tante volte dei miei nonni, ma mai ho detto che per me l'estate
senza di loro non ha più senso.
Senza il giornale letto con mio nonno, le ramanzine perchè non facevo i
compiti e andavo a giocare in strada, quelle strade di Treja e Montefano e
i lunghi pomeriggi marchigiani, il pallone o la racchetta e quelle attenzioni
che nessuno mi potrà dare così.
Non l'ho mai scritto ma lo penso ogni metà Giugno per tre mesi.
L'estate, il mare, i bagni.
Io che da piccolo ero ciccione e non mi toglievo mai la maglietta per vergogna.
Mi rifugiavo al bar a giocare ai videogame, facevo amicizia con altri ciccioni e
forse da lì è nato il mio odio a console e playstation varie.
Bimbo Simone e la sua banda di ciccioni. Non l'ho mai detto, me ne vergogno.
Ho mai detto delle prime vacanze con gli amici? Gruppo di sedicenti bevitori
in cerca di avventure e mai una volta che qualcuno tornasse a casa felice.
Ma i tempi sarebbero cambiati, anni dopo e dopotutto la gavetta serve.
Non ha mai detto tante cose e non ho scritto interi capitoli di me.
Ho fatto l'istituto tecnico sinchè non mi sono accorto che anzichè da striscie di
"zero e uno" in codice binario la vita era fatta di fiori, giochi e colori.
Ho conosciuto la poesia, letto Sepulveda e per la prima volta un goal non è
stato solo un punto in più, ma condivisione di un mondo, di affetto e amicizia.
Un abbraccio vitale per chi stava soffrendo.
Da "tecnico" sono diventato un "niente" che si commuove per ogni stronzata.
Aspetta però, non andare...non ti ho detto ancora tante cose.
Una volta mia madre ha trovato un giornalino con le donne nude nel nostro
bagno di casa, avrò avuto 14 anni. Lo utilizzavo per amare. Alle sue incalzanti
domande non potei fare altro che dar la colpa al mio migliore amico.
"Lo tengo io perchè a casa non può...già". Lui non lo sa, non diteglielo anche
se non credo di esser stato creduto.
Mera figura da mezzo uomo (o mezzo ragazzino), ma mai come quando me
ne andai dal seggio elettorale fiero di aver votato Rutelli. Anno 2002?
Ebbene sì, non te l'avevo mai detto vero? Ho votato Francesco Rutelli.
Non parlo sempre di me, in realtà lo faccio raramente.
Maschero, nascondo, recito.
E' più facile scriva qualcosa di me anzichè parlarne.
Tante cose non le dirò mai, però posso inventarne altre.
Tu hai qualcosa da dirmi?

giovedì, agosto 05, 2010

Guardando dentro le palle che appena le giri scende la neve...

E' l'effetto della neve in agosto a Milano.
Niente macchine, solo cumuli di acqua ghaicciata attorno a noi, nemmeno
la merda che copre i marciapiedi sarà più come prima.
Tutto il silenzio, il contorno della nostra vista, in questo freddo agosto di città.
Guardando dentro le palle che appena le giri scende la neve...
Tutto il mondo in miniatura, il mondo che schizza, sfreccia e arrossisce al
primo complimento.
Milano in agosto ha la neve agli angoli delle strade, offerta in comode
confezioni facili da usare. Che solo il vento può portare via.
La forma più democratica di finta esaltazione, emulazione del lusso.
La Milano d'inverno non è quella d'estate. Vero?
Guardando dentro le palle che appena le giri scende la neve...
Vedevo sempre piccoli omini girarsi, muoversi, senza parlarsi, senza
guardarsi in faccia, indifferenti, come chi non sa fermarsi a guardare un fiore.
Tra luglio e agosto cambia poco, ma è tutto differente. Con tutti i colori messi
insieme che si fondono, come neve al sole. Con tutti i colori coperti di neve,
un bianco unico, un finto candore. Innocenza macchiata.
Guardando dentro le palle che appena le giri scende la neve...
Preferivo sempre quelle col Duomo di Milano, senza piccioni, a quelle della
grande torre storta o dell'arena dei gladiatori.
Mi dava senso di casa e la sensazione di poter cambiare le cose, anche
l'indifferenza che vedevo in giro, quella che oggi si chiama normalità.
Purtroppo.
Era la neve che scendeva con un mio gesto a darmi quel potere.
Tutto bianco, tutto in silenzio, tutto coperto. Niente.
Una volta scesa, avere la forza di rifarlo ancora, senza sosta sinchè non fosse
uscito qualcuno a dirmi di smetterla. Ma non è mai successo niente.
Guardando dentro le palle che appena le giri scende la neve...
Sentivo di poter mettere dentro tutto quello che non mi andava, di agitare e
coprire tutto, di agitare e mettere tutto in ordine.
Il solo fatto che ogni volta tutto tornasse come prima mi agitava, ma mi
dava la rabbia per rifarlo. All'infinito.
Mi assaliva soltanto un grande freddo, dalla schiena sino alla punta delle
dita. Il mio corpo, i miei muscoli, la carne, tutto fermo. Vuoto a rendere.
Guardando dentro le palle che appena le giri scende la neve...
E' l'effetto della neve ad agosto a Milano.

lunedì, agosto 02, 2010

La poltrona

Che effetto fa sedere, solo, nella poltrona dove dormivi da bambino?
Una bottiglia di vino rosso aperta un'ora fa, macchia la pagina del libro
aperto trenta minuti prima, di cui non ho ancora letto nemmeno una riga.
La parete bianca è molto interessante vista da questa angolazione.
Ci proiettano sopra film in bianco e nero che sanno di Parigi. O del porto
squattrinato di Marsiglia, come i tre pastis che ho bevuto per aperitivo.
Ne ho offerto uno anche al mio ospite inatteso che ha lasciato la casa non
appena ha capito che non ne sarebbe mai uscito vivo.
Schiacciato dai sensi di colpa e fatto a pezzi dalla mia indifferenza.
Paranoica sensazione di mancansa di aria.
Non faccio il matto, tranquillo. Apro la finestra e il condizionatore protesta
per lo spreco. Fanculo la tecnologia.
Alzo la bottiglia di vino e ci sono ancora tre bicchieri abbondanti, tre buone
dosi di silezionzioso divertimento solitario.
La televisione dietro di me riflette l'immagine di un divano rosso con
sopra appoggiato un cappello di paglia e un mucchio di riviste.
In quasi tutti quei settimanali sono riportate notizie di guerra o di morti
ammazzati, di ladri e puttanieri. Il tutto è semplicemente normale in
tutti i giorni delle nostre settimane.
Non ci sorprende più niente.
Allora prendo tempe e inspiro aria fresca.
Decido che sarò direttore del giornale locale, ma focalizzo dopo poco che
scriverei solo per me, soprattutto dopo che il mio amico immaginario mi ha
lasciato con un pastis da finire.
Il fallimento del mio giornale mi lascia indifferente, come la parete bianca di
fronte a me di cui non ho più seguito il film. Che ora è a colori forti.
Accendo lo stereo, il volume è alto, molto alto. Solo dopo dieci minuti mi rendo
conto dell'orario e abbasso. Non vorrei mai far arrabbiare il vicino. Mai.
Troppo tardi eppure così fottutamente presto.
Dormo, non dormo. Ho ancora il vino da finire, solo un mezzo bicchiere e
poi potrò finire la mia ultima birra. L'ultima della serie.
Prima però, per digerire, un bicchiere di amaro. Tutto questo senza vedere
più, senza andare più oltre. Senza analizzare, come fossi un quotidiano locale.
Avrei fatto bene a non farlo scappare, a rimanere attaccato a quel barlume
di qualcosa che riempisse il niente. Immaginario.
Avrei fatto bene, però al tempo stesso fanculo.
E' solo un sogno, uno stupido sogno.
Sarà la poltrona dove dormivo da bambino a rendermi così, ma almeno
riesco ancora a stupurmi e indignarmi. Come all'ora.