L'angolo adatto per nani, ballerine, cantanti, troie, alcolizzati e illusi. Ovviamente qui nulla è serio...se sei dei nostri...benvenuto, entra pure

mercoledì, luglio 28, 2010

Anche se arrivi così

E' tutto il sapore del Mondo, indivisibile, anche se parti così, inutilmente.
Girare, vagare, la musica che ti prende e ti porta via. O ti lascia lì, a bocca
aperta, senz'aria, senza voglia, senza saliva.
Testa bassa, inutilmente, col pieno diritto di esserlo. Inutili.
C'è molta ipocrisia nel credersi normali, a meno che non si affermi che
siamo in un Mondo di matti.
Matti e non folli, la follia la ritengo un pregio.
Partire con la testa, con lo zaino, con il cuore.
Per niente, per qualcosa, per scopare, per amare.
Inutilmente, se poi ritorni come prima.
Testa bassa, inutilmente, fieri dell'occasione persa. Andata.
Ci sono treni che partono ogni cinque minuti e portano nel solito posto,
li prendi tutti i giorni, ed altri che passano una volta sola e puntualmente
perdi, come non mai.
E' in questi momenti che capisco l'invenzione del ritardo. Serve a non
prendere decisioni e farsi trasportare dagli eventi.
Testa bassa, inutilmente, in preda alle correnti del fiume in secca. Umidi.
La banalità della normalità viene ritenuta un pregio, che molti chiamano
umiltà, che fa sbocciare ma rischia anche di far appassire in fretta.
Mi rattristano i fiori appassiti, soprattutto se hanno ancora l'acqua nel vaso.
Continuerò a bere troppo caffè mettendo sempre meno zucchero, magari
correggendolo col Vernelli per dargli forza e vigore. Un liquore sconosciuto,
di quelli che si servono all'ombra, come i vecchi che giocano a carte nei bar
o quei terrazzi pieni di fiori che stanno all'interno dei palazzi, coperti da altri
palazzi e rinchiusi nei cortili.
Alzando lo sguardo ogni tanto, giusto per farne vedere la profondità in chi
sa osservare sino in fondo alla via e non soltanto i propri passi.
Rimanendo convinti che una farfalla, seppur bellissima, ha tutto il diritto di
non uscire mai dalla sua crisalide. Soprattutto se non ne ha voglia.
E' tutto l'odore del Mondo, invisibile, anche se arrivi così, inutilmente.

venerdì, luglio 23, 2010

Un giorno giravo nel candido decadentismo

Un giorno lessi che per arrivare in alto ci voleva una scala a chiocciola e fu
lì che capii che la mia paura per i vortici mi avrebbe portato a non percorrerla
mai, nell'attesa del giorno perfetto.
La lunga attesa, l'onda perfetta.
Percorrendo i soliti percorsi sono quasi sicuro di notare cose sempre diverse,
nella luce del lampione, nell'ombra sui marciapiedi e nel solco che passa tra
una strada e l'altra.
Quale?
Quello che ti porta a prendere una decisione, che ti trasporta nel giorno
perfetto, il giorno candido.
Incrociando le dita e scontrando il razionale con la realtà, con musi allungati
e faccie stordite dal caldo, dall'affanno. Dalla noia.
Dal fastidio di vedersi riflesso ancora sugli stessi specchi che purtroppo
non deformano, ma lasciano le cose come stanno.
Un titolo di studio, un titolo sul giornale e un titolo al solito post depresso.
Nel giorno perfetto a un tratto si spegne la luce ed io immagino a cosa si
pensi nell'attimo prima che avvenga.
Non al buio, non alla luce. Un giorno candido.
Nel lungo attimo che passa in pochi centesimi di secondo. Quello che resta
impresso sulla tua retina l'attimo prima dell'ultimo attimo.
Come poco prima di impattare un pallone e già immaginarselo in rete o
come sapere che è già tutto finito prima di cadere dall'alto.
Immaginandosi il profumo dei fiori simile a quello del sapone dopo che hai
lavato le mani, sentendo in faccia l'umido delle lacrime e in bocca il marcio
delle cose scritte su una poesia persa in quelche bicchiere di troppo.
Un giorno candido come la fine.
Ma è risaputo che se si riuscisse a dare un peso alle parole si riuscirebbe
a non farle volare ed imprimerle su un foglio bianco le fissa nel tempo ma
non nell'istante in cui le hai pensate.
Da una scala a chicciola si può cadere con troppa facilità per il rischio di
arrivare in alto, anche nel giorno perfetto.
Un giorno tornerò a girare nel candido e decadente giorno perfetto.

mercoledì, luglio 21, 2010

Allestire futuri equivale a costruire castelli di carte

Testa muro testa muro testa muro.
Non bevo più nemmeno troppi caffè perchè mi han detto che fa male.
Fa male al cuore, al carattere, innervosisce.
Già.
Sbatto gli occhi, la gamba va a mille e tutto procede.
Scrivo e cancello tutto questo dieci, venti, cento volte e non saprò mai cosa
poteva venirne fuori.
Che non so quante volte avrò maledetto la mia totale incapacità a suonare
uno strumento o il fatto che ho una voce di merda.
Potevo campare di musica, io.
Invece ho scelto di giocare a calcio. Ennesimo fallimento di una vita.
Muro testa muro testa muro testa.
Quando mi arrabbiavo con mio padre, da piccolo, non gli davo mai la
sensazione di essermela presa, mi chiudevo in camera da solo e ne uscivo
con dei gran bernoccoli o dei graffi sulle braccia.
Roba da poco sia chiaro, ma c'è da chiedersi come abbia fatto a non esser
diventato scemo del tutto. Ma forse non c'è bisogno di chiederselo.
Se soltanto riuscissi a mettere in musica le parole, farne suoni, se soltanto
trovassi una chiave diversa dalla solita per raccontare, credo avrei
maggiori soddisfazioni. Anzi ne avrei qualcuna.
Sarei potuto essere anche un bravo disegnatore, colori o bianco e nero,
ombre e luci, senza la paura di apparire troppo cupo e malinconico.
Puoi sempre dire che quello è il tuo stile.
Cosa che non posso dire. Perchè per avere uno stile devi essere qualcuno.
MuDimensione caratterero muro muro testa. Rimbalzo.
Mi gioco la giacca bella, la camicia stirata, le mutande lavate.
Non serve a un cazzo. Perdo tutto al primo giro di marciapiedi, alla prima
svolta a destra. A sinistra non potevo girare, il semaforo era rosso.
Certo fosse stato tutto in bianco e nero non avrei avuto questo problema.
Testa muro testa muro testa...ora basta che comincia a farmi male.

lunedì, luglio 19, 2010

Il peso della storia

La storia non serve a un cazzo.
Mi assumo il peso di questa affermazione, per ciò che vale.
Ma mi sono rotto i coglioni di pagine bianche macchiate di inchiostro e
corredate da foto in bianco e nero. Vuote, senza un senso e raccontate a
manichini senza memoria.
La storia ha un senso solo se lascia un segno, un segno indelebile nella
memoria delle persone che l'hanno vissuta, ma sopratutto in chi non l'ha
vissuta ma soltanto sentita raccontare.
La storia ha un senso soltanto se serve a evitare che si ripetano gli errori o
che tornino sotto altre vesti, magari soltanto più moderne.
A volte mi chiedo a cosa serva leggere tanto, immergersi in storie scritte
da altri su altre persone, dal Vangelo sino all'ultimo romanzo che ho in borsa.
Servirà forse a farmi dimenticare o a perdermi in qualche nuovo posto,
anzichè stordirmi con birre e vino. Serve forse a questo. Psichedelia.
Perchè anche le storie più belle non sono nulla se non vengono raccontate
e non passano di bocca in bocca facendo un ampio giro nelle teste pensanti
di chi le ascolta, per prendere ossigeno.
Ogni storia è fatta da storie di persone, alcune valide altre meno, che vanno
raccontate, discusse, vissute. Altrimenti non servono a un cazzo.
Io ero piccolo, giocavo sulla sabbia con le biglie e a un libro preferivo i video
giochi dei bar. Ero piccolo e non sapevo, ero piccolo e non potevo capire.
18 anni fa venne messo un grande lenzuola bianco sulla possibilità di fare
luce, di dare giustizia. Quel lenzuolo bianco è stato sporcato di sangue,
oramai rappreso, di parole vuote e di lacrime false. Troppe.
Ora ho quasi trent'anni e non ho più le mie biglie, il lenzuolo è ormai lercio e
copre gli occhi delle nostre coscienze, ci rende ciechi e perbenisti.
A quasi trent'anni, mi illudo che qualcosa possa cambiare e mi scontro su
muri di indifferenza, su libri bianchi senza parole, su corruzioni, mafie
tonache e congreghe.
Come se la storia non ci avesse insegnato nulla, come se la storia non
servisse proprio a un bel cazzo. Come se avesse ragione chi dice che le
speranze della gente sono come fumo, come il fumo che nasce da
un'esplosione. Però la storia ha un valore unico, assoluto.
Un valore che niente e nessuno potrà mai cancellare con televisioni e
opinioni lowcost ed è la possibilità di ricordare e fare in modo che nulla
venga cancellato.

martedì, luglio 13, 2010

Scrivere

Apro la seconda birra della serata e dentro me sapevo che il rischio di esser
solo in casa sarebbe stato questo.
Cerco lo stappabottiglie e non lo trovo. Poi lo vedo sotto il divano e penso a
chissà come potrà mai esserci arrivato. Forse il vento?
Ma scrivo soltanto quando è la pancia a dirmelo, senza imporre nulla.
Come un fiume in piena o un blues che ammazza la serata.
Un pò come mangiare, un pò come uno stimolo intestinale. Un pò un fottuto
vizio che mi è venuto chissà come e andrà via chissà quando.
Da quando ho cominciato a farmi in testa delle cronache per tutto ciò che
faccio, per quello che vedo. Un costante racconto che mi fa sempre pensare.
Bene o male, credo mi porterà alla follia. Di sicuro non guadagnarci qualcosa.
Trovarmi a scrivere su biglietti del tram, pezzi di giornale e tovaglioli,
semplici frasi, pensieri o disegni da cui poi partorisco altro.
Nulla di geniale, ma mio.
La cosa che più mi fa ridere è che a volte, soprattutto in passato mi abbian
detto che leggendo sembravo diverso da come apparivo.
Prima cosa, cazzo ne sai?
Poi è facile da dirsi e anche da pensarsi, non ci vogliono cultura particolare o
una spiccata intelligenza per scrivere. Forse è per questo che a volte sembra
"diverso" l'autore. Io non ho cultura e intelligenza particolari, ne tantomeno
un dono nello scrivere.
Fatico a scrivere una cartolina e non ho creatività negli auguri di Natale.
Ma ho la pancia, quel qualcosa che ti esce anche non seduto sul cesso.
La seconda birra è oramai a metà, l'orologio è avanti rispetto all'orario in cui
un bravo ragazzo va a letto per essere sveglio il giorno dopo a lavoro e la
verità è che non ho sonno.
Sto pensando a cosa sto facendo, lo sto raccontando a me stesso e penso a
cosa stai facendo tu, intreccio due cose, due storie. Magari lo racconteresti
meglio ma non scrivi.
La foto su Internazionale ha un colore strano e mi fisso a osservarla. La
macchia sul muro è soltanto umidità, non può essere l'immagine di Dio, Lui
non esiste e non siamo a Medjugoije per le apparizione ma in Giambellino,
piena Milano. Poi me l'ha detto Lui stesso che non c'è, quando gli corsi
incontro e mi fece trovare chiuso il portone della Chiesa.
Avevo bisogno, era chiuso. Eran 12 anni fa. Era luglio.
Oltretutto non c'entra un cazzo, ma proprio qui entra la pancia.
Finisco la seconda birra della serata, una lacrima si è formata sull'occhio
destro, sarà per quel portone chiuso o per il caldo.
Era luglio come ora, era caldo anche allora, non ero maggiorenne ma dal
racconto di quella corsa e quel portone chiuso capii che dalla pancia avrei
potuto dire tante cose.

mercoledì, luglio 07, 2010

Polvere di domande

Grattavo il fondo alle domande che mi ero già fatto.
Forse tra una piega e l'altra posso trovare qualche risposta. Forse non
dovevo abbandonare tutte le mie icone.
A scuola avevo paura del medico, delle punture e della serietà.
Poi col tempo ho capito che non dovevo averne paura, mi bastava stare
sempre bene e mai male. Semplice. L'ho fatto, ho provato ad essere perfetto
per vari anni, senza ovviamente esserci mai riuscito.
Nemmeno per lunghi minuti.
Associo spesso una domanda a una risposta. A caso.
"Mi piacciono i fiori" a volte fa da risposta al perchè mi fisso allo specchio
provando fastidio e al tempo stesso amore.
Una volta al perchè non riuscissi a esprimermi a parole mi sono risposto
che "con tre chili in meno starei meglio".
E' un gioco stupido, che non mi porta a niente. Dovrei forse darmi almeno tre
opzioni e poi scegliere la più vicina alla mia soddisfazione, molto spesso vicina
al mio senso di noia e solitudine fugace.
Mi aiuta però ad evitare di grattare via le croste alle mie risposte, al senso
ultimo di vendetta che hanno le domande.
Alle medie avevo paura di un insegnante stronza, di non piacere agli altri e
del buio.
Il buio mi fa ancora paura, ma ho imparato a come accendere la luce e
quando sono convinto di non piacere la spengo.
Ho cercato di esser sempre come gli altri volevano, ero un ragazzo con delle
caratteristiche. Mi piaceva molto la pioggia, anche oggi in realtà.
Poi le mie speranze sono andate in fumo, volate via con l'acne e le sessioni
onanistiche di amor fugace. In quei momenti mi facevo domande ma le
risposte le cercavo erroneamente negli altri o in consunti giornalini osè.
Adesso ho paura del padrone, di me stesso e di restarci troppo a lungo.
Il buio mi fa ancora paura, accendo e spengo la luce, ma credo che per
andarmene non basti più l'interruttore.
Senza tante parole, tutte queste parole che in fondo, pur grattando non
cambiano niente.